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sabato 12 aprile 2014

FEET IN TRANSLATION - Foot Fraternity STUD FEET

finalmente ho trovato immagini decenti di una serie di disegni estremamente eccitanti
che conosco da un po'

può partire l'opera di


ho idea che non sarà facile
ma vale la pena provare!!

domenica 29 luglio 2012

FEET IN TRANSLATION - Ron

per la rubrica



una storia ritrovata per caso
tradotta dall'inglese
con qualche piccola aggiunta
e soprattutto una completa rivisitazione del finale
inspiegabilmente lugubre nell'originale
e molto più adatto a sognatori romantici europei
nella mia versione.


Ron


Ho incontrato Ron ad una festa. Un appartamento minuscolo pieno di gente.
C’erano pochissime sedie, tutte già occupate e continuavo a mangiare dal mio piatto di carta, seduto ai suoi piedi. Lui sedeva su una poltroncina e sembrava assorto in qualche articolo su GQ. Il suo abbigliamento firmato reggeva il confronto con le costosissime scarpe italiane di pelle e i calzini ricercati. Aveva un'aria superba ed arrogante quel ragazzo di ventun anni. Trasudava regalità e classe. I suoi capelli biondo scuro, un po’ scapigliati, come se il vento ci avesse giocato fino a un momento prima, lo rendevano ancora più intrigante. Erano arruffati, ribelli, non curati, e aumentavano da morire il suo fascino. Lo facevano sembrare più abbordabile. Aveva penetranti occhi blu e una leggera barba incolta che aggiungeva il giusto tocco di mascolinità.

Eravamo entrambi un po’ ubriachi. Io mi sentivo così tanto a mio agio da commentare liberamente i suoi calzini, come se fosse un abituale argomento di discussione e confessando, non contento, di avere un'insaziabile passione per i piedi. Credo di avergli detto a un certo punto che stavo lottando con tutte le mie forze per non sfilare le sue scarpe e annusare i suoi piedi. Senza esitare un attimo, il giovane figo mi sorride e mi piazza un piede sul pacco (già duro).
Pochi momenti di eccitazione confusa e mi ritrovo disteso sul pavimento nel bel mezzo della festa, con entrambi i suoi piedi a mia disposizione. Uno sul mio petto. L’altro appoggiato sul mio uccello, che gridava la sua voglia di uscire da dentro i pantaloni! Ron sosteneva di non aver mai incontrato nessuno a cui piacessero i piedi ma che doveva arrendersi all’evidenza che i suoi piedi me lo stavano facendo venire duro!

Passammo la notte insieme. Iniziammo a frequentarci. E nel giro di una settimana ero completamente innamorato di lui. E lui di me! Eravamo compatibili sotto molti punti di vista, sia spirituale che fisico. E sentimentalmente, in quel momento, eravamo nelle stesse condizioni. L’unico problema era scarsa sintonia a letto, almeno all'inizio! Ma quando Ron cominciò ad assecondare la mia passione per i piedi, scoprì due cose. La prima, che farseli leccare gli piaceva proprio. La seconda, che più mi trattava come il suo servo personale e più la sua fantasia si accendeva. In poco tempo si rese conto di quanto implacabilmente io fossi diventato dipendente dai suoi piedi, di quanta naturale predisposizione avessi nel servirlo e nel giro d tre settimane di convivenza, Ron diventò un esperto nell’esercitare la sua autorità su di me e la mia vita fu per sempre stravolta.

Presto si crearono dei riti che scandivano le nostre giornate insieme.
Ogni mattina quel ragazzo biondo dall'aspetto angelico pretendeva che mi svegliassi prima di lui, delicatamente scivolassi fuori dal letto e gli preparassi il caffè. Dopodiché era preciso ordine inginocchiarmi in fondo al letto, infilare la testa sotto le coperte e, lentamente, devotamente, leccare le piante dei suoi piedi nudi per farlo svegliare. Lui non muoveva un dito se c'ero io che potevo farlo al posto suo. Fisicamente lo tiravo su dal letto per metterlo seduto. Aggiustavo i cuscini dietro la sua schiena per farlo stare comodo. Ero io a portargli il vassoio con il caffè, ad accendergli la televisione sul suo programma preferito e a succhiare le dita dei suoi piedi, devotamente, con cura mentre lui sorseggiava il suo caffè e guardava la televisione, senza dire una parola. Leccavo tra un dito e l'altro quei piedi meravigliosi fino a che Ron non mi ordinasse di portar via il vassoio.

“Sbrigati, ho bisogno di un tappetino per i miei piedi!”, diceva, ed io ero stato addestrato a togliermi la maglietta e buttarmi faccia in giù sul pavimento così che lui potesse poggiare i piedi nudi sulla mia pelle calda invece che sul 'freddo' parquet. (il fatto che il mio viso e il mio petto nudo poggiassero invece sul freddo parquet non era rilevante, per nessuno dei due). A Ron piaceva riscaldare i suoi piedi sulla mia schiena mentre mi dettava gli ordini per la colazione. Una volta finito aspettavo uno schiocco delle sue dita per iniziare l'adorazione del mattino. Scattavo a pancia all’aria per poter ricevere i suoi piedi direttamente in faccia, ricoprirli di baci e, fra un bacio e l’altro, recitare il mio mantra del buongiorno, “Io ti adoro, SIGNORE. Io ti adoro, Ron. Vivo per stare sotto i tuoi piedi. Tu e il tuo corpo perfetto siete tutto ciòa cui penso, mattina, pomeriggio e sera. Io vivo per compiacerti, Signore. Non c’è niente che non farei per il mio Re. Tu sei il mio Dio sulla terra e io a te sacrificherò la mia comodità, il mio denaro, il mio tempo, la mia volontà. Solo per te, mio Principe perfetto, solo per l’onore di avere questi splendidi, preziosi piedi sulla mia faccia da servo”. Il mantra durava fino a che faceva piacere a Ron, fino a che lo divertiva. Alcune mattine giusto qualche minuto, altre anche mezzora. E io non osavo smettere di baciare o di adularlo per un solo istante fino a che lui non decidesse di fermarmi semplicemente dicendo “BAGNO!”.
Allora diventavo il suo tappetino personale. Mi allungavo perpendicolarmente al letto fino a raggiungere con la mia testa la porta del bagno, lasciata sempre aperta. Così disteso aspettavo che Ron camminasse su di me senza bisogno di toccare il pavimento con i piedi. La mia testa, girata di lato, aveva l'onore di ricevere il suo ultimo passo prima di raggiungere il bagno. Lui mi passava sopra senza alcun riguardo, prendendo il suo tempo, confidando nel fatto che fosse la cosa più naturale da fare, sia per lui che per me. Gli ordini prevedevano che io rimanessi immobile in quella posizione mentre Ron pisciava, mentra faceva le sue cose, in modo che potesse tornare indietro fino al suo letto, passando di nuovo sopra di me. Una volta seduto, avevo il permesso di infilargli i calzini di spugna e le Nike ed aiutarlo a indossare i pantaloni della tuta.
Fatto questo, ero immediatamente a quattro zampe affinché lui potesse cavalcarmi come un mulo fino ai suoi attrezzi da palestra. Mentre Ron si allenava io preparavo quello che mi aveva ordinato per colazione. Quando finiva i suoi esercizi, suonava un campanello. Io lasciavo immediatamente qualsiasi cosa stessi facendo per assumere di nuovo la posizione del mulo sotto le sue gambe e portarlo in cucina per la colazione. Ron mangiava ed io strisciavo sotto al tavolo per il primo “TRATTAMENTO DEL GIORNO”: avevo il permesso di togliere le Nike e lasciar sprofondare il mio naso nei sui calzini bianchi assaporandone la fragranza di sudore per tutto il tempo della colazione. Quando Ron chiamava i “tre minuti” io avevo il permesso di togliere velocemente i suoi calzini e spendere quel poco tempo leccando il sudore deliziosamente salato dai suoi piedi stanchi dopo l'allenamento.
“Ho bisogno che il mio piccolo schiavo mi porti in bagno!”. Ancora una volta mi saltava in groppa e aspettava che lo portassi in bagno e che, ovviamente, lo lavassi dalla testa ai piedi. Ron aveva preso l’abitudine di cavalcarmi dozzine di volte al giorno. Dopo la doccia camminava ancora una volta sopra di me per raggiungere il letto, dove poteva distendersi e rilassarsi mentre io pensavo al deodorante, alle lozioni, al profumo.
Dopo averlo completamente vestito, si sedeva sulla poltrona da barbiere che mi aveva fatto comprare, pagandola carissima e leggeva il giornale mentre io mi occupavo di pettinargli i capelli. Dopodiché mi inginocchiavo per lucidargli le scarpe. Ai suoi “DUE MINUTI” io, ancora completamente nudo, avevo centoventi miseri secondi per vestirmi ed essere a quattro zampe per portarlo alla porta di casa, aprirla, farlo scendere dalla mia schiena e poi precederlo per aprire per lui lo sportello della macchina, dal lato del passeggero. Allacciavo la sua cintura di sicurezza e lo portavo al lavoro.

Lavorava in un elegante grande magazzino come responsabile delle vendite nel settore dei profumi e faceva davvero molti soldi. E questo, insieme allo sconto dipendenti sulla merce del negozio, gli permetteva di vestire sempre come un modello. Durante il primo turno di lavoro di Ron, io correvo a casa per fare il letto, pulire il bagno, i piatti della colazione e per preparare il pranzo. Appena finito tornavo al negozio e lì lo aspettavo, in piedi e con lo sportello della macchina aperto, fino a che usciva. Una volta a casa, mi gettavo a terra dopo avergli aperto la porta, così che lui potesse pulirsi le scarpe sul dorso della mia camicia.
Si sedeva sulla sua poltrona preferita ed io ero subito pancia a terra, talmente tanta era l'impazienza di adorare le sue scarpe, baciare le sue caviglie. “Mi sei mancato così tanto, Padrone. Odio quando non ci sei. Grazie, mille volte grazie per esser tornato per pranzo e per il privilegio di lasciarmi strisicare ai tuoi piedi perfetti. Tu sei il mio mondo, Padrone.”, “LECCA!”, rispondeva, distratto. “Vuoi quello che c'è dentro le mie scarpe? Allora te lo devi meritare! Lecca via con la lingua tutta la sporcizia che ho raccolto per strada e dimostrami quanto adori essere il mio leccapiedi.” E io, che già avevo iniziato a leccare, leccavo ancora più avidamente. “Ora puoi cominciare a sfilarmi una scarpa alla volta, lentamente – diceva Ron – baciando ogni millimetro di calzino che esce!”, “Sì, Signore! Grazie Signore – rispondevo io completamente in estasi – Grazie, grazie, grazie!” Quel paradiso durava almeno mezzora. Poi gli portavo il pranzo su un vassoio, glielo sistemavo in modo che fosse comodo, accendevo la televisione e assumevo la posizione del tavolino, offrendo al mio Padrone un piano comodo su cui appoggiare i suoi piedi.
Mentre mangiava, generalmente giocherellava col mio naso per massaggiare le piante dei suoi piedi, mentre io non riuscivo a smettere di coprire di baci tutto ciò che mi capitava a portata di bocca.
Finito il pranzo, lo riportavo al lavoro e tornavo di corsa a casa per svolgere il mio di lavoro. Ron mi aveva obbligato ad accettare un lavoro che potessi svolgere da casa, online, e così ero diventato consulente per una piccola casa editrice.

Circa tre settimane dopo, la routine già funzionava alla perfezione. Rispettavo i tempi in modo così naturale da riuscire a godere di ogni singolo attimo della presenza di Ron.
Quel giorno, come gli altri precedenti, aspettai il momento giusto per rimettere le scarpe al mio Padrone in modo che potessi riaccompagnarlo in ufficio per il turno del pomeriggio. Lui invece si tolse di nuovo le scarpe, me le fece cadere dalle mani con un calcio, e con un altro calcio diritto nel mio stomaco...”Ti ho detto di rimettermi le scarpe?”, mi gridò in faccia. “No, Signore – balbettai – ma...”, “Sì o no, idiota? Ti ho detto di rimettermi le scarpe?”, “No, Signore”, risposi io abbassando la testa. “Allora rimetti quella tua stupida faccia sul pavimento, perché è dove deve stare!”, “Sì, Signore, scusami”, mi limitai a dire.
Appoggiai di nuovo il visto a terra, vicino ai piedi del mio Padrone. Lui alzò il destro e, con violenza, prese a schiacciarmi come se volesse farmi uscire gli occhi dal cranio! Così immobilizzato, ascoltai quanto di più inatteso, scioccante, umiliante avessi mai pensato di sentir dire a Ron. Con voce calma mi informò, “Io non ho intenzione di tornare al lavoro! Da un po' controllo il tuo conto, vedo quanto guadagni e non c'è alcun motivo che io sprechi il mio tempo a lavorare!”, una pausa, poi continuò, “Fai abbastanza soldi per mantenere entrambi, e poi se smetti di comprare inutili cose per te e smetti di fare investimenti senza senso, potrai comprarmi tutto ciò che mi serve o che desidero!”. Cominciai a manifestare, sempre rispettosamente, il mio disappunto ma Ron, senza alterarsi, senza cambiare tono di voce mi fermò. “Lasciami finire! Se non accetti io tornerò al lavoro e ci dimenticheremo per sempre di questa conversazione, ma lasciami finire!”, “Va bene – acconsentii – ma già ti dico che questa proposta non mi pare accettabile...”, “Shhh! Lasciami finire – continuò – Tu sei ancora il mio leccapiedi, lo schiavo che mi adora e mi venera, no?”, “Sì, Signore, lo sono!”, non potei che ammettere! “Prendi ancora ordini da me e fai tutto quello che ti dico di fare, giusto?”, le cose non si mettevano bene!
“Sì, Padrone, adoro fare quello che dici”...In quel momento si alzò, senza dire niente. Con un piede tirò su il mio mento per farmi mettere in ginocchio di fronte a lui. Così feci, senza protestare. Si abbassò leggermente, allungando una mano verso il mio uccello. Afferrò le mie palle e strinse quel tanto per farmi sentire completamente in suo potere. Mi guardava diritto negli occhi. Io non riuscivo a reggere il suo sguardo. “A chi appartieni?”, disse dopo un silenzio che mi sembrò interminabile. Sentii la mia voce rispondere, senza esitare, “Appartengo a te, Padrone, a te soltanto!”.
Ti piace questa sensazione?”, mi chiese, mentre continuava a giocare con le mie palle. “Sì, Signore, moltissimo”, “Chi può permettersi di farlo?”, “Solo tu, nessun altro, a meno che non sia tu a dirlo, Padrone”, ero completamente in suo potere! “Bene, e non ti piacerebbe che io avessi più tempo per tenerti per le palle, come sto facendo ora?”, mi chiese sorridendo sadicamente. “Sì, Signore, mi piacerebbe molto!”, “Allora stai tranquillo e guardami negli occhi – cominciò – Mi piace il fatto che tu sia mio! Mi piace vederti strisciare ai miei piedi. Ma ho bisogno di qualcuno che voglia dedicarsi completamente a me, per assicurarmi tutta la comodità e i vizi che mi spettano, di cui ho diritto. Al di là di quello che io possa provare per te e delle tue necessità, io ti rivendico come mia proprietà personale! Ho fatto di te il MIO leccapiedi. È un onore! Altri schiavi implorerebbero, implorano anzi, per diventarlo. Io ho concesso a te questo privilegio e ora tu mi devi dimostrare la tua gratitudine riconoscendomi come tuo unico Re! E un Re non si alza ogni mattina per andare a lavorare.” Mentre parlava mi slacciava la cerniera dei pantaloni e infilava la sua mano nelle mie mutande, sfiorando il mio cazzo duro come una roccia. Non staccava i suoi occhi azzurri, ipnotici, dai miei. Io mi sarei buttato dalla finestra in quell'esatto momento, se solo me lo avesse chiesto. Fortunatamente per me si limitò a dire, “Togliti i pantaloni e sdraiati per terra, nella tua posizione naturale!”, ed io lo feci, senza fiatare.
Mi sdraiai pancia all'aria davanti a lui. Ron si rimise a sedere sulla poltrona. Poggiò un piede sulla mia faccia, l'altro sul mio uccello che, libero dai boxer, tirava verso l'alto come mai prima di allora. La mia mente era totalmente aperta alle sue parole, alla sua voce, era una spugna che assorbiva le frasi del mio Padrone come una serie infinita di verità assolute. Mi spiegò che il mio livello di devozione meritava molto di più che un Padrone part-time. Che la mia profonda passione per i piedi doveva essere sfruttata ventiquattrore al giorno, tutti i giorni della settimana e che non potevo offrire la mia vita ad un semplice commesso in un centro commerciale, come era lui in quel momento. Io meritavo di servire un vero Principe, diceva, qualcuno di così nobile e speciale che non dovesse sporcarsi le mani per lavorare. Qualcuno il cui unico interesse nella vita fosse quello di essere servito e viziato. Questo mi spiegava continuando a strusciare i suoi piedi sul mio pisello, sul mio torace, sulla mia faccia. Poi aggiunse, “So che non lo dico spesso, ma io ti amo davvero, mio piccolo leccapiedi. Ti amo così tanto che voglio essere sempre presente per te, per darti la gioia di servirmi tutto il tempo. Tu non meriti di essere uno schiavo ad intermittenza. Non dovresti essere messo nella condizione di stare male perché io non ci sono. Mi consentirai di dimostrarti tutto il mio amore, tu che sei l'oggetto più prezioso che posseggo, facendoti dono della mia costante presenza?”.
Fece una pausa lunga, gustando fino in fondo tutto il suo potere su di me. Poi con entrambi i piedi cominciò a farmi una sega. Lo faceva con cura, attenzione pur non rinunciando alla confidenza di chi sa di essere un Padrone assoluto. “Questo può accadere ogni giorno – disse finalmente – Se tu mi avrai per casa tutto il giorno, potrai servirmi tutto il giorno e meritare questo enorme privilegio tutti i giorni, per sempre.” Continuava a massaggiare il mio pisello ed io mi sforzavo di trovare la concentrazione per non venire, non avendone avuto il permesso. Dopo avermi portato sul punto di esplodere, proprio quando sentivo che la mia sborra si preparava ad eruttare con tale violenza che ero sicuro avrei raggiunto il soffitto, tolse i suoi piedi dal mio uccello e disse, “Bene, non c'è più tempo. Devo tornare al lavoro. La decisione è tutta tua. Non devi dire niente. Puoi rimettermi le scarpe e portarmi al lavoro oppure appoggiare di nuovi i miei piedi sul tuo cazzetto che non desidera altro, così io potrò finire quello che ho iniziato e tu potrai accettare la completa, totale, ininterrotta servitù e l'incredibile ricompensa che ne deriverebbe.”
Trenta secondi di un silenzio denso rotto soltanto dal battito del mio cuore che pareva volesse uscirmi dal petto. Ed in silenzio rimasi anche mentre con le mani un po' tremanti cercai i piedi di Ron per riportarli suo mio cazzo, che sgocciolava di piacere. “Io vivo per servirti, Padrone, ventiquattro ore al giorno!”, dissi con un filo di voce. Lui massaggiò appena il mio pisello e poi tolse di nuovo i suoi piedi. “Ti rendi conto che non potrai mai uscire di casa?”, mi chiese con tono grave. “Sì, Signore!”, risposi io senza un attimo di esitazione. Di nuovo i suoi piedi sul mio uccello. Ogni volta sentivo il potere di quei piedi, il loro peso, la loro forza e ogni volta di più mi sorprendevo di quanto volessi vivere per servirli. Due altre carezze vigorose e ancora una volta Ron li ritrasse. “Ti rendi conto che io dovrò avere pieno controllo e accesso ai tuoi conti?”, “Sì, Signore – risposi – è giusto che sia così.” Riavvicinò i suoi piedi al mio cazzo ma si fermò di nuovo. Prima che potesse parlare però, li afferrai, li strinsi intorno al mio pisello e cominciai a scoparmeli furiosamente, gridando, “Sì, Padrone, sì, capisco tutto. Sì, tutto, Signore. Mi impegno a soddisfare ogni tuo bisogno. Io ho bisogno di avere i tuoi piedi in faccia e sul pacco, Signore, sempre, sempre, ogni momento. Farò qualsiasi cosa per te. Vivrò ai tuoi piedi ventiquattro ore al giorno. Ogni centesimo che guadagnerò lo consegnerò a te, con devozione, con gioia, affinché tu possa usarlo in qualsiasi modo tu voglia. La mia casa è tua. I miei soldi sono tuoi. Le mia labbra, il mio uccello, la mia mente sono TUOI, da piegare al tuo volere finché godrò del dono di avere i tuoi piedi su di me. Io esisto per eseguire i tuoi ordini, Padrone. Io ti adoro, ti venero come un Dio. Padrone, io sono di tua proprietà!” In quel momento il mio uccello sputò tanto di quel seme che non avrei mai immaginato di poterne avere così tanto nelle palle. Dieci lunghi, interminabili fiotti di sperma raggiunsero il mio torace, il mio viso, le scarpe di Ron che tenevo vicino alla faccia. Prima che iniziassi a riprendermi, a realizzare dove fossi, un piede del mio Padrone mi si piantò sul naso e sulla bocca. Io facevo addirittura fatica a respirare. Mi dimenavo, mugolavo, implorando di poter prendere aria. Ma il mio Padrone mi guardava dall'alto senza lasciarsi impietosire. Alla fine disse, solenne, “Tu appartieni a me, cos'hai da dire ora?”, e io mi affrettai a borbottare attraverso la pianta perfetta e virile che mi schiacciava a terra, “Grazie, Padrone. Ti amo, Padrone.”, lui disse, “Bene, non affronteremo mai più il discorso sul mio lavoro. Da questo momento io sono il tuo Re. Ora mettiti in ginocchio. Ti mostrerò il rito di adorazione del pomeriggio.”, “Sì, Signore!”, fu l'unica cosa che riuscii a dire.

La mia vita non fu più la stessa da quel giorno. Ron inventò sempre nuovi modi per sfruttare la mia devozione. Non c'era limite alla sua creatività, alla sua immaginazione. E più umilianti e perversi erano le dimostrazioni di sudditanza che pretendeva da me, più io mi sentivo drogato dalla sua mente, dal potere che io stesso gli avevo concesso e che ora lui usava come se gli spettasse per diritto naturale. Erano tutt'altro che fantasie sessuali. Niente a che vedere con i giochi di ruolo. Io persi la mia identità e diventai lo schiavo che lui voleva che fossi, mi aveva plasmato secondo i suoi desideri e ancora continuava ad addestrami. Non venne mai meno alle mie necessità. Al contrario, usava il mio inesauribile bisogno di adorare i suoi piedi come strumento per educarmi ad essere un servo migliore.
Dopo sei mesi mi resi conto che non non c'era più nessuno nella mia testa. Nessuno, tutti spariti, a parte Ron. Anche lavorando al computer per guadagnare di che vivere per me e soprattutto per lui, mentre lui dormiva o si allenava o mi guardava sbracato sul divano, anche in quei momenti io avevo la consapevolezza di LAVORARE PER LA GLORIA DI RON. Diventai il suo schiavo leccapiedi a tempo pieno, il suo maggiordomo, il suo cuoco, il suo cameriere, il suo cane, il suo asciugamano, il suo barbiere, il suo valletto, zerbino, poggiapiedi e tutto ciò che voleva farmi essere.
A fine anno avevo perso completamente la capacità di discutere.
Accettavo ogni suo ordine, ogni sua richiesta, anche insensata, incomprensibile, senza pormi il problema di valutare. D'altra parte non era compito mio valutare le richieste del Padrone. Il mio compito era fare, eseguire, in fretta e con la massima attenzione, in modo che il mio Signore fosse sempre completamente soddisfatto. Lui controllava la mia vita in ogni suo aspetto. La controllava attraverso i suoi piedi, ed io mi sentivo in paradiso.

Oggi festeggio i dieci anni dal giorno in cui decisi di mettere la mia esistenza nelle sue mani. Dieci lunghi anni passati in un secondo e oggi sono lo schiavo, il servo, il leccapiedi, il cane, l'uomo più felice del mondo!!

giovedì 5 luglio 2012

FEET IN TRANSLATION - lavori straordinari

appetizer

non so perché in questi giorni mi trovo invischiato nelle fantasie fetish in ufficio.
credo però che
invece di capirne i motivi
sia sempre meglio dare fondo all'ossessione di turno.
in attesa di sviscerare l'argomento con una ampia videorassegna
rispolvero la sempre impegnativa rubrica

per dare conto in lingua italica
di ciò che gli americani sanno dire (e fare) molto meglio di noi.

una chicca rispuntata fuori magicamente
dal recupero
dopo lunghi mesi
del mio archivio completo.

tradotto e condiviso:

martedì 11 gennaio 2011

FEET IN TRANSLATION - Valerio Chiappetta in Pino, novello FEETMASTER!

la rubrica
si apprestava a vivere un momento di riposo
dopo la maratona di Paul, Joe e il loro schiavo
durata per più di un anno.
e invece mi tocca rispolverarla subito
(seppur passando dall'inglese all'amato spagnuolo)
per dar conto di un'intervista col botto
che il sempre-meglio Valerio Pino (fu Chiappetta)
ha rilasciato ad un rotocalco tipo FAMIGLIA CRISTIANA versione iberica.

si inizia subito forte:
Se dovessi pubblicare un annuncio per incontri, cosa scriveresti?
Italiano, 29 anni, 1,80 m, autoritario, barba, mi piace che si eseguano i miei ordini. Io comando, tu obbedisci. Comincia a metterti in ginocchio e aspettami, sto arrivando (ride)
io comando, tu esegui?
aspettami in ginocchio?
siamo al masteraggio più avanzato!
ma il quadretto non è ancora completo!
c'è di meglio!
dopo un'elegante tornata di domande e risposte:
Come scegli qualcuno?
Senza troppi giri di parole o cerimonie. A volte invece non serve neanche parlare!
Cosa guardi per primo in un un ragazzo?
Il sedere (ride)
Ricordi il tuo primo bacio?
Ero molto, molto piccolo. Ho ricordi molto vaghi. Mi pare fosse a scuola di danza, avevo otto o nove anni e la ragazza si chiamava Roberta (Roberta, dice!).
E il tuo primo rapporto?
(Ride, ma che se riderà?) Qui la confusione è ancora maggiore!
Cos'è che ti smonta completamente?
Se non si fa come dico io, se non mi si obbedisce!!
arriva, inattesa, la confidenza più gradita:
Oltre ai genitali, quale parte del tuo corpo non devono trascurare?
I PIEDI E, OVVIAMENTE, NON SI DEVONO LIMITARE A TOCCARMELI!
habemus FEET-MASTER!
il resto dell'intervista,
dato il tenore della sostanziosa rivelazione,
è un diminuendo di interesse.
giusto una citazione di livello con cui si omaggia il pensiero di Rocco Siffredi
e una sparata sull'erede al trono spagnolo
da cui il Pino sarebbe rimasto rapito, incontrandolo di persona.
(misurasse le parole l'ex pupillo di Maria,
ché già si è fatto terra bruciata in italia,
se si sputtana pure là,
gli tocca ricominciare la carriera per la terza volta
emigrando, che so, in giamaica!):
Domanda bruciapelo. Bocca, mano o penetrazione?
Penetrazione.
Mattina, pomeriggio, sera?
Sempre, in ogni momento.
Al primo posto cosa metti?
La lingua.
La dimensione del pene è importante?
Sì, dal punto di vista estetico. Un giorno Rocco Siffredi mi rispose la stessa cosa. “Visivamente” riferendosi a come rende in video. Però dopo, quello che importa è saperlo usare. Deve funzionare bene. Se ce l'hai grande ma non funziona a dovere, beh lo guardi, ma poi rimani deluso. È meglio un pene normale ma che funzioni bene. Ti lascia molto più soddisfatto.
Qualcuno che hai conosciuto e che hai trovato irresistibile?
Il principe Felipe lo trovo molto sexy, specialmente con la barba. Quando lo vedo in televisione rimango incantato.
si chiude con il rifiuto all'omologazione
e con una dura denunzia dell'imperante mal costume
(o forse il racconto di un ricordo personale?)
Se dovessi definirti, ti diresti gay, etero, bisessuale?
Non mi sento né gay né etero. Non mi piacciono le etichette. Sono negative, si usano per insultare. Non ho mai sentito dire “etero di merda” ma sempre “frocio di merda”!
pobre Valerio
l'infanzia cosentina non dev'essere stata delle più facili.
ma il travaglio tempra
e se poi i risultati sono questi...

venerdì 31 dicembre 2010

FEET IN TRANSLATION - Il mio nuovo vicino - undicesima (E ULTIMA) parte

per la rubrica


chi trova un amico
trova un tesoro
ma chi ritrova un amico
dopo esser diventato uno schiavo?
si abbattono le ultime frontiere.
il processo è irreversibile.
la trasformazione è totale!

IL MINORE
LASCI LESTO QUESTE PAGINE
NON PROSEGUA OLTRE
PRENDA I SUOI PETARDI
E VADA A SCOPPIARNE PER STRADA
LONTANO DALLE BALLE!


Il mio nuovo vicino

undicesima (E ULTIMA) parte


Tornando dal centro commerciale, domenica mattina, trovai un ragazzo seduto sui gradini della mia veranda. Immaginai si trattasse di Tim, il nuovo schiavo di Joe. Parcheggiata la macchina nel vialetto, lui si alzò e mi venne incontro.
– Sei Tim, vero? – chiesi. Era molto carino, alto un po' più di me, biondo, occhi azzurri e un fisico ben curato.
– Sì. – rispose semplicemente.
– Aiutami a portare dentro le buste – gli dissi, senza troppe cerimonie. Portammo dentro la spesa, in gran parte formata dai cibi preferiti dal mio giovane padrone.
– Così tu vorresti diventare lo schiavo di Joe? – gli dissi mentre cominciavo a togliermi i vestiti.
– Sì, credo. – rispose lui.
– Parti già male con una risposta del genere – continuai, togliendomi il resto dei vestiti mentre lo sguardo di Tim si faceva sempre più perplesso. – Agli schiavi non è permesso indossare vestiti se non in pubblico o quando i loro padroni non lo consentono. Perciò...toglieteli! – dissi in tono più naturale possibile. Almeno avrebbe cominciato a capire cosa vuol dire essere uno schiavo. Tim iniziò a sfilarsi la maglietta e io iniziai con la lezione numero uno!
– Essere lo schiavo di un vero uomo significa donarsi a lui, completamente. Tutto ciò che fai deve essere in sua funzione. E non intendo solo sessualmente. Intendo vivere in una permanente condizione di servitù. Io cucino per il mio Padrone. Tengo la casa in ordine per lui, faccio le lavatrici, compro ciò che gli serve o che gli potrà servire.
Tim ascoltava e continuava a spogliarsi. Si fermò prima di togliersi i boxer
– Anche quelli! – ordinai. – Dovrai imparare a non vergognarti, se vuoi essere uno schiavo. È molto probabile che il tuo Padrone ti chiederà di servirlo in pubblico, davanti a tutti, e non ti sarà permessa nessuna esitazione. Non solo non dovrai vergognarti, dovrai sentirti fiero di essere messo in mostra! E se pensi di non riuscire a fare una cosa del genere, non sei tagliato per servire. – E continuai: – Essere uno schiavo vuol dire aver acquisito la piena consapevolezza di essere inferiore ad un vero maschio dominante. Devi essere convinto nel profondo che il tuo destino sia quello di servire. Non è un gioco, è uno stile di vita.
– Io sono fatto per essere uno schiavo – disse Tim con un'inaspettata convinzione. – È da molto tempo che me ne sono reso conto, ormai. So cosa vuol dire essere uno schiavo. Mi sono informato, ho letto libri e articoli su internet. La prima volta che mi è capitato di leggere qualcosa sull'argomento, ho capito immediatamente di appartenere a quel mondo. Non sono stato mai così certo di qualcosa. So che la mia vita non sarà completa finché non la dedicherò al servizio di un Padrone.
– Sono contento di sentirti parlare così – dissi, dissimulando un leggero fastidio. – Essere uno schiavo è la cosa migliore che mi sia mai capitata. Servire Joe e suo Padre è fantastico. È ciò per cui sono nato. Non fraintendermi, a volte è davvero dura. Può essere molto umiliante, ma non ho mai provato niente di più appagante, allo stesso tempo. I miei padroni sono davvero esseri superiori. È un onore anche solo essere in loro presenza.
– Forse essere uno schiavo è davvero la tua strada, – continuai, – Ho un po' di roba da farti leggere. Ci sono degli articoli su cosa vuol dire essere un servo e cosa comporta. Voglio che tu li legga, anzi, dovrai studiarteli. Sii certo di comprenderli a fondo. Rifletti bene su tutto, è un passo che non si può fare alla leggera.
– Ok, – rispose Tim, – ti prometto che leggerò tutto accuratamente. So già però che questo è il mio futuro. È da molto che ci penso, ancor prima che incontrassi Joe. Quando poi sono capitato in squadra con lui, nell'esatto momento in cui l'ho visto per la prima volta, il cerchio si è chiuso. Ho saputo fin da subito che sarebbe stato lui il mio Padrone. Da quel momento tutto sembrò avere un senso, tutto mi sembrò più facile.
Il ragazzo aveva sicuramente la stoffa per diventare un vero schiavo. Era evidente. Mi sembrava di sentir parlare me, mentre lo ascoltavo. La stessa consapevolezza maturata fin dall'adolescenza. La stessa sensazione di libertà appena incontrato colui che sarebbe diventato il mio padrone. E la sensazione di libertà che si prova nel diventare uno schiavo è talmente paradossale che riesce a provarla soltanto chi è destinato a questa vita, a chi sente dentro di sé il bisogno di servire.
– Beh, pensarci qualche giorno in più non ti farà male, – dissi poi. – Qui c'è dell'altro materiale. È un corso per imparare a succhiare bene il pisello del tuo Padrone. Uno schiavo deve conoscere più tecniche possibile per dare piacere al maschio a cui si sottomette.
Per la prima volta, quel giorno, il viso di Tim si illuminò di uno sorriso compiaciuto. Il pensiero di potersi occupare dello splendido uccello di Joe era probabilmente il compito che gli sarebbe più piaciuto. Così decisi che era il caso di chiarire ancora quel era il giusto modo di vedere le cose, anche quelle che potevano sembrare piacevoli!
– Faresti bene a toglierti quel ghigno dalla bocca! Ricordati che anche succhiare il pisello del tuo Padrone non ha nulla a che fare col tuo piacere. È sempre tutto in funzione della sua soddisfazione, non della tua!
– Per me va bene, – rispose lui, continuando a sorridere. Sapevo come si sentiva. Anche per me era sempre un piacere ricevere il cazzo del mio padrone. Far sentire un essere superiore come lui talmente bene da portarlo all'orgasmo era per me quasi più appagante che averne uno mio.
– Ti deve andar bene per forza! – dissi io, consegnandogli anche tutte le regole pratiche per servire Joe. Come salutarlo, come ascoltare i suoi ordini, come ringraziarlo. – Impara tutto a memoria. Infrangere le regole comporta sempre una punizione e ti posso dire per esperienza personale che una punizione non è mai piacevole. Joe pretende un'obbedienza totale e le sue punizioni sono severe. Sono sicuro che non sarai impaziente di provare la forza dei suoi muscoli su di te!
– Ok, studierò tutto per bene. Quando posso iniziare il vero allenamento? – chiese Tim.
– Se ne sarai ancora convinto, possiamo cominciare già domani. Chiamami quando ti senti pronto, – dissi, e aggiunsi: – E non ti segare! Uno schiavo appartiene interamente al suo Padrone. Quindi anche il tuo pisello non è più roba tua. Tu non vieni a meno che non sia il tuo Padrone a consentirtelo. Inizia anche ad assaggiare la tua urina, – decisi di testare la sua motivazione fino in fondo! – Al Padrone piace che il suo schiavo sia anche il suo pisciatoio personale. Ti ci vorrà un po' prima di abituarti ma è parte dei doveri di un inferiore!
– Ok – rispose, ma del suo sorriso compiaciuto ora non c'era più traccia!
– Dai, ora vattene a casa, ci sentiamo domani. – lo congedai, sentendomi un po' in colpa per essere stato così duro!

Per tutta la sera il mio padrone non si fece vedere. Passata la mezzanotte, io stavo già dormendo, mi svegliò con uno schiaffo in faccia. Senza dire niente, mi pisciò in bocca e poi mi ordinò di preparagli qualcosa da mangiare. Divorò il panino seduto al tavolo della cucina con i piedi appoggiati sulla mia testa e poi se ne andò.
Il telefono suonò alle dieci della mattina dopo. Stavo servendo a Joe la colazione. Tim, in una eccitazione quasi febbrile, mi chiedeva quando avrebbe potuto cominciare a fare sul serio. – Lo chiedo al Padrone, – risposi.
Andai da Joe, mi misi in ginocchio. – Signore, – dissi, – il tuo nuovo schiavo vuole sapere se può venire più tardi, per servirti.
– Digli di passare all'una, mentre guardo la partita, – rispose distrattamente. La notizia fu accolta da Tim tutt'altro che distrattamente. Potevo sentirlo fare salti di gioia! Riagganciò senza neanche salutare.
– L'hai istruito come si deve? – mi chiese il padrone.
– Sì, Signore, – risposi – gli ho dato tutto il materiale che avevo e gli ho parlato del significato di essere uno schiavo e servire un essere superiore. Mi è sembrato molto ansioso di servirti, Signore.
– Certo che lo è, – disse Joe – vuole strisciare ai miei piedi dal primo giorno che mi ha visto. Sarà divertente aggiungerlo alla mia scuderia. Però a te non piace essere in competizione, vero schiavo? – aggiunse accarezzandomi la testa come si fa con un cane.
– No, Padrone, – risposi sinceramente, – ma so che quello che importa è ciò che vuoi tu, quello che tu meriti di avere. Un maschio dominante come te ha tutto il diritto di circondarsi di molti servi. Io sono già onorato di poter far parte di quei fortunati, Signore.
– Bravo il mio leccapiedi, tu sai qual è il posto che ti spetta, – disse Joe finendo la sua colazione. Si alzò, mi si piazzò di fronte e: – Succhiami il cazzo! – mi disse, provvedendo così alla colazione del suo servo!

Qualche minuto prima dell'una, il padrone entrò in casa, si sbragò sul divano e ordinò una birra. Gliela portai, poi accesi la tv. – Dov'è l'altro schiavo? – mi chiese.
Tim bussò alla porta con cinque minuti di ritardo! Io ero furioso con lui. – Quando il tuo Padrone ti dice di presentarti all'una, tu ti presenti all'una, neanche un secondo dopo! – gli urlai contro, sottovoce!
Lui si scusò mentre si svestiva il più in fretta che poteva. Aveva un corpo atletico e il suo cazzo era già sull'attenti. Aveva il pisello più grosso del mio. Questo Tim cominciava a darmi veramente sui nervi.
– Scusati col tuo Padrone, non con me! – dissi indicandogli Joe che lo guardava, infastidito da un esordio non proprio perfetto.
Tim andò verso il padrone, si inginocchiò e chiese perdono per il ritardo. Joe non disse niente, quasi sembrò non far caso alle sue parole. Mi guardò e mi ordinò di prendere la frusta. Così feci, con una sottile soddisfazione. Gliela consegnai e mi feci da parte.
– Devi imparare un po' di rispetto, servo – disse il padrone rivolgendosi a Tim. – Mettiti a quattro zampe, col culo ben in alto. Il ragazzo scattò in posizione anche se i suoi occhi tradivano la paura che provava. Il padrone assestò dieci frustate. Cadenza regolare e mano leggera per la prima punizione di Tim. Tuttavia qualche segno rosso e qualche lacrima servirono per far apprendere al nuovo aspirante schiavo la lezione sull'orario. Di certo non sarebbe più arrivato in ritardo!
– Adesso datti da fare, – gli disse Joe, – affonda il tuo muso nel mio pacco! E anche tu! – disse a me. La competizione era appena cominciata!
Entrambi ci affannavamo per servire il nostro padrone. Tim sembrava addirittura affamato. Leccava e succhiava il cazzo enorme di Joe grufolando come un maiale. Io mi davo da fare con le sue palle invece. Tutto era come doveva essere. Due esseri inferiori si impegnavano al massimo per il piacere del loro signore. Joe sembrava apprezzare particolarmente quella inedita doppia attenzione. Ci lasciò andare avanti almeno per un'ora. Poi si alzò, tirò su Tim cose se fosse un pupazzo, lo sistemò a pancia in giù sul bracciolo del divano e comincio a scoparselo senza cerimonie. Il ragazzo, di sicuro non abituato, forse addirittura vergine, lasciava scappare dei lamenti sommessi, che, purtroppo per lui, sembravano stimolare Joe ancora di più! – Tu vieni qua, leccami il culo! – ordinò a me. Mi inginocchiai dietro di lui e cercai di fare del mio meglio. Non era per niente facile visto che il padrone continuava a fottersi Tim con colpi sempre più decisi. Passò un'altra ora e finalmente Joe lasciò sborrare il suo uccello, abbondantemente, dentro il povero Tim, che, ormai esausto, aveva smesso anche di lamentarsi. Se l'era cavata però e per ricompensa il padrone gli fece pulire il suo cazzo con la lingua.
Il resto del pomeriggio lo passammo cercando di servire il nostro padrone nel miglior modo possibile. Ci alternammo nel ruolo di pisciatoio. Tim ebbe qualche difficoltà a mandare tutto giù, soprattutto all'inizio. Col passare del tempo però, cominciò ad apprezzare anche quella funzione. Sembrò totalmente a suo agio nel suo nuovo ruolo di schiavo.
Joe se ne andò nel tardo pomeriggio per prepararsi all'appuntamento che aveva più tardi quella sera. Avrebbe sicuramente fatto felice qualche ragazza nonostante si fosse sfogato abbondantemente grazie a noi. Io rimasi da solo con Tim e lui sembrava un fiume in piena!
– È stato fantastico! – continuava a ripetere.
Cercai di riportarlo nel mondo reale! – Devi cercare di essere sempre pronto. La punizione che hai avuto oggi per essere arrivato in ritardo è stata molto leggera. Peggiorerà ogni volta che commetterai un errore. Devi essere totalmente sottomesso al tuo Padrone ed eseguire qualsiasi cosa lui ti dica di fare, non importa cosa.
– Lo so, – mi rispose lui, un po' sulla difensiva.
– Voglio solo metterti in guardia, – continuai. – Joe potrebbe divertirsi a metterti alla prova. Probabilmente dovrai fare cose molto umilianti per provare che desideri davvero essere il suo servo. Solo, sii preparato!
– Lo sarò. Ora farò meglio ad andarmene, – disse Tim. Ebbi l'impressione che non volesse ascoltarmi. Beh, avrebbe imparato la lezione nel modo più duro. Peggio per lui. Si rivestì e se ne tornò a casa.

Qualche giorno dopo, appena rientrato dall'ufficio, sentii il campanello della porta. I miei due padroni avevano le chiavi, non avevano bisogno di suonare; mi domandai chi potesse essere. Guardai dallo spioncino. Mark e Dave avevano deciso di scoprire che fine avesse fatto il loro amico di infanzia, quello con cui erano cresciuti, quello con cui avevano passato ogni giorno dai tempi del liceo. Mi misi addosso i primi vestiti che mi capitarono per le mani e aprii la porta, fingendo una tranquillità che assolutamente non provavo. Dopo i primi convenevoli, infranti sul muro delle mie reticenze, i miei due più cari amici fino all'estate precedente, mi invitarono alla partita di basket a cui sarebbero andati quella sera. Insistettero talmente tanto che non riuscii a dire di no. D'altra parte, Joe era fuori città per il weekend e il mio primo padrone non si faceva mai vedere nel fine settimana, così pensai di concedermi uno strappo alla regola.
Prima della partita, ci fermammo a cena nel pub dove andavamo sempre. Era come i vecchi tempi. Dire stronzate e fare gli scemi come succedeva da quando eravamo in classe insieme. La nostra amicizia si era stretta subito, appena ci ritrovammo nella stessa aula. E l'amicizia continuò anche dopo la scuola. Io e Dave fummo i testimoni di Mark al suo matrimonio. E cercammo di tirarlo su anche mentre affrontava la separazione e poi il divorzio. Tra i tre, il carattere di Dave si era sempre imposto e, gradualmente, era diventato il leader del trio, un ruolo che sia io che Mark, avevamo accettato di buon grado, come si accetta un fatto naturale.
Nel primo anno di liceo avevamo grosso modo tutti la stessa taglia. Poi Dave fece uno sviluppo inaspettato. Diventò il più alto fra noi e costruì il suo fisico con un esercizio costante. Avendo occasione di allenarci tutti insieme e di farci la doccia tutti insieme, ebbi modo di notare che proprio tutto si sviluppò nel corpo di Dave! Non so Mark, ma per quanto mi riguardava, pure questo aspetto mi faceva sentire inferiore al mio amico. Anche se io rimasi sempre quello più furbo così come Mark fu sempre quello più divertente dei tre, Dave diventò il boss! La sua naturale propensione al comando si delineò ancor di più proprio grazie ad una forza fisica sempre maggiore. Era come se il suo corpo si adattasse al suo carattere. Anche quella sera, a cena, e poi alla partita, i ruoli rimasero immutati. Dave non aveva perso il suo carisma, nemmeno un po'!
Quella rimpatriata non prevista finì poco prima di mezzanotte.
Girando la chiave nella toppa della porta notai qualcosa di strano. Ero sicuro di aver chiuso con due mandate e ora invece la porta si aprì con un solo scatto.
Quando vidi il bagliore della televisione accesa capii che ero davvero fottuto. Avevo soltanto bisogno di capire ai piedi di chi dover implorare il perdono.
Paul era seduto sul divano. Guardava CSI in televisione. Appena rientrai lui spense la tv, ed io deglutii in preda al panico.
– Dove sei stato? – mi chiese, glaciale.
Io mi ero già spogliato ed ero già in ginocchio ai suoi piedi.
– Sono stato ad una partita di basket con degli amici, Signore. – dissi con un filo di voce.
– Avevi il permesso per andare? – disse Paul.
– No, Signore. Mi dispiace, Padrone. – risposi.
– Ti è permesso uscire senza autorizzazione? – il tono di voce di Paul aveva una calma che non lasciava presagire nulla di buono.
– No, Signore – dissi mentre mi avvicinavo a grandi passi verso la punizione del secolo.
– Prendi la frusta! A quanto pare ti serve una rinfrescata su quale deve essere il tuo posto. – Appunto!
Consegnai la frusta al mio padrone e mi misi in posizione senza aspettare che lui me lo ordinasse. Con un atteggiamento di totale sottomissione speravo di poter alleviare le mie future sofferenze. Il padrone invece, per nulla impressionato dalla mia arrendevolezza, mi frustò come non aveva mai fatto prima. Nonostante il dolore fosse lancinante, appena finita la punizione strisciai verso i piedi di Paul per ringraziarlo. Ma la punizione non era ancora finita. Prese la mia testa come se non fosse attaccata al resto del corpo. Mi mise in bocca il suo cazzo già duro e cominciò a scoparmi la gola con violenza. Mi venne dentro in pochi minuti. Io feci appena in tempo ad inghiottire tutto quando un pugno in pieno viso mi fece cadere schiena a terra. Il padrone si alzò e venne verso di me. Vidi il suo piede che dall'alto atterrava sui miei zigomi. Paul spostò tutto il suo peso sul piede che mi stava schiacciando e, con voce calma, mi informò che quello non era che l'inizio. Io, in preda ad una paura mai provata, continuavo a leccare il suo tallone forsennatamente. La mia lingua era totalmente indipendente dalla mia volontà e totalmente condizionata dalla mia sottomissione.
– Raccontami di questi amici, – continuò il padrone. – Fammi capire perché sono talmente importanti da farti infrangere le regole che i tuoi padroni ti hanno dato!
Gli raccontai di Dave e Mark, di come diventammo amici per la pelle già dalle scuole ma presi altrettanto tempo per ripetere che, mai, i miei due amici sarebbero potuti essere più importanti dei miei padroni.
Per quella sera finì così. Paul uscì di casa senza dire niente. Io passai la notte in bianco per il dispiacere di aver deluso ancora una volta il mio primo padrone e per la paura di quello che sarebbe successo. Ero certo che Paul non avesse ancora chiuso la faccenda. Sapevo che di lì a poco mi avrebbe presentato il conto.

Rividi Paul e Joe soltanto il lunedì. Entrarono in casa insieme, e io non associai a quella coincidenza nessun buon presagio! Salutati entrambi, li seguii al divano. In ginocchio, davanti a loro, con la testa bassa, ascoltai il resto della mia punizione.
Mi ordinarono di invitare Dave e Mark al leather bar! I miei occhi erano spalancati, anche se i miei padroni non potevano vederli! Non avevo il permesso di dir loro cosa sarebbe successo ma avrei dovuto convincerli con ogni mezzo ad esser lì il venerdì sera successivo.
Ci misi un po' per convincere Mark. Dave invece accettò subito, lui era sempre pronto a sperimentare! Ci saremmo visti alle sette davanti al locale. La mia vita segreta stava per esser svelata ai miei più cari amici. Il mio rapporto con Dave e Mark, immutabile fin dai tempi della scuola, avrebbe subito un colpo dagli effetti imprevedibili. Il venerdì si faceva sempre più vicino e l'ansia raddoppiava dopo ogni ora.

Senza rendermene conto, mi ritrovai sul sedile posteriore della macchina del mio padrone, completamente nudo eccetto per il collare. In silenzio ascoltavo le istruzioni di Paul su come mi sarei dovuto comportare quella sera. Ovviamente c'era anche Joe, che però era occupato a rispondere a messaggini di qualche sua pretendente. Il padrone mi disse di trattare i miei due amici con lo stesso rispetto con cui trattavo lui e Joe.
Appena arrivati al locale, Paul attaccò un capo del guinzaglio al mio collare e l'altro capo lo fissò alla sua cintura. L'umiliazione era totale!
Vidi subito Mark e Dave seduti in un tavolo in fondo alla sala. Li indicai al mio padrone. Loro non mi avevano riconosciuto. Soltanto quando fummo ad un metro, i miei due amici mi squadrarono con un'aria stupefatta. La bocca spalancata e gli occhi sbarrati valevano più di ogni commento.
Arrivati al tavolo, mi inginocchiai di fronte a loro.
– Vi ho chiesto di venire qui stasera per mostrarvi chi sono realmente. Io sono uno schiavo. E questi, sono i miei due Padroni.
Feci le presentazioni ufficiali e Paul e Joe si sedettero insieme ai miei amici. Io continuai.
– Essere un schiavo è ciò per cui sono nato. È quello che ho scelto di essere. È ciò di cui vado più fiero. Io sono inferiore agli altri maschi, maschi dominanti come i miei Padroni. Sono inferiore ai maschi come voi, – dissi, con gli occhi bassi, ai miei due migliori amici.
– Vivo per servire i miei Padroni. Sono tutto ciò che è importante per me. Sono a loro disposizione. Pulisco la loro casa, cucino per loro, succhio i loro piselli, bevo la loro urina. Servirli mi fa felice quanto nessuna altra cosa provata finora. Questo mi dà la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta.
– Stanotte sarò punito per aver dimenticato qual è il mio posto e per essere venuto a vedere la partita con Voi senza averne il permesso. Uno schiavo deve pensare sempre e solo al suo Padrone. Quando ho scelto di uscire con voi, l'altra sera, ho messo il mio divertimento davanti al rispetto e al servizio per i miei Padroni. Per questo merito di essere punito. – Presi un sospiro, arrivava la parte più dura.
– I miei Padroni desiderano che stasera voi mi usiate come vostro schiavo. Io Vi servirò in qualunque modo Voi vogliate!
Ecco, avevo compiuto il passo da cui non sarei più tornato indietro. Mark continuava a guardarmi con un'espressione sbigottita. Dave invece aveva già cambiato il suo atteggiamento, e lo stupore aveva ben presto lasciato il posto ad una strana eccitazione.
– Perché non diamo a Mark e Dave una dimostrazione? Che ne dici schiavo? – disse Joe, annoiato da questa lunga introduzione. – Vieni qua a succhiarmi il cazzo! – Il giovane padrone si alzò, mise le mani sui fianchi, io mi avvicinai a lui e gli slacciai la patta per tirar fuori il suo uccello possente. La mia tecnica era ormai perfetta. Sapevo esattamente come dar piacere al mio Padrone. Sentivo avvicinarsi il momento della mia ricompensa e Joe, un attimo prima, mi ordinò di non mandare giù il suo sperma. Pochi secondi dopo mi riempì la bocca del liquido caldo e denso.
– Adesso fa' vedere ai tuoi amici a cosa può servire la tua bocca! – mi ordinò
Io mi girai verso di loro con la bocca ben aperta. Rimasi così in attesa di ordini.
– Ora puoi ingoiare, frocetto! – disse Paul. Mandai giù fra le risate di Dave.
Paul volle aiutarmi a sciacquare la bocca con una abbondate pisciata. La dimostrazione della mia inferiorità era, di certo, arrivata forte e chiara ai miei amici e questo mi rendeva più sereno. Ero orgoglioso che loro potessero sedere allo stesso tavolo con i miei due padroni.
Passai le successive due ore a fare da cameriere per Dave, Mark, Joe e Paul. Quando non ero impegnato a portar loro da bere me ne stavo seduto ai loro piedi. Mark era ancora profondamente a disagio ma Dave sembrava in perfetta sintonia con i miei padroni. Se la spassava. Entrò subito in confidenza con loro e non aveva alcun problema nel darmi ordini. Io ero in silenzio, come un cane deve fare mentre i suoi padroni non hanno bisogno di lui, e nel frattempo Paul e Joe svelavano a Dave tutti i dettagli della mia schiavitù.
Verso le nove e mezza, quando il bar era pieno zeppo di gente, Paul decise che era il buon momento per la seconda parte della mia punizione. Chiese l'attenzione del locale e annunciò che il suo schiavo sarebbe stato punito per avergli disobbedito. Mi portò al centro della sala. Legò le mie caviglie a due anelli fissati al pavimento che mi obbligavano a tenere le gambe divaricate. Poi fissò i miei polsi ad una barra che scendeva dal soffitto. Non avevo più alcuna possibilità di movimento. Paul andò dal gestore del locale e tornò con in mano una lunga canna di legno e con quella mi obbligò a contare cinquanta scudisciate. Io le contai con voce sempre meno chiara perché il dolore era indescrivibile e aumentava ogni volta di più. Tutti erano intorno a me e ridevano e applaudivano ad ogni colpo. Finito il supplizio fui lasciato lì, appeso in mezzo al bar, alla mercè di chiunque volesse approfittarsi di me.
Ovviamente nessuno si fece pregare. Insulti e derisioni erano accompagnate da schiaffi in testa e strizzate di palle. Un paio di ragazzi mi sputarono in faccia. A molti piaceva tormentare il mio sedere già rosso per la punizione ricevuta dal mio padrone. Si divertivano a farmi gemere di dolore. Forte in me, per tutto il tempo in cui rimasi legato come un salame, era la consapevolezza di quanto meritassi quella punizione.
All'improvviso, al posto di tutti quegli sconosciuti, mi ritrovai di fronte Dave. Io lo guardai negli occhi. Lui fece altrettanto. Il suo sguardo era diverso, il suo atteggiamento era diverso. Non potei far altro che abbassare gli occhi e dimostrare così la mia sottomissione.
– Paul e Joe mi hanno detto che bravo piccolo servo sei! – cominciò lui. – Mi hanno raccontato ogni dettaglio. Sei solo un patetico succhiacazzi. Lo sapevo. L'ho sempre saputo. Ho sempre fatto mille supposizioni su di te. Mi sei sempre sembrato così pronto a compiacere. Adesso capisco il perché. È un peccato che ci sia arrivato solo ora. Avrei potuto divertirmi con te già da molto tempo. Avresti potuto prenderti cura del mio bel cazzo grosso e non avrei dovuto più pensare a farmi una sega da solo! – Dave mi parlava vicino alla faccia, il suo alito era caldo, sapeva di birra, ma lui non era affatto ubriaco. Diceva quelle cose in piena consapevolezza. – Beh, fortunatamente i tuoi padroni mi hanno dato il permesso di usarti ogni volta che ne avrò voglia. Credo che farò buon uso della tua bocca! – Poi guardò il mio pisello. Anche se era cosi duro da scoppiare rimaneva pur sempre un cazzetto da deridere. – Guarda che roba, mi sa che quella miccetta non è cresciuta di un centimetro da quando ti conosco. – E ridendo, si girò e tornò al tavolo con i miei padroni.
A fine serata, Dave era già buon amico di Paul e Joe. Finalmente mi liberarono ed io potei sgranchirmi le gambe e i polsi. Mark era già andato via, ovviamente senza salutarmi. Avevo l'impressione che non l'avrei rivisto mai più. Paul agganciò di nuovo il guinzaglio al mio collare ed io li seguii fuori. Sentivo che si accordavano per tornare presto nel leather bar. Erano ormai ai saluti quando Dave pensò di far valere la promessa che gli era stata fatta dei miei padroni solo qualche ora prima. Si girò verso di me e – Mi sa che ho voglia di un bocchino – disse, senza rivolgersi a me direttamente.
– In ginocchio, servo! – ordinò Paul.
Mi inginocchiai ai piedi del mio migliore amico! Guardai in alto e vidi i suoi occhi luccicanti e la sua bocca con su stampato un sorrisetto compiaciuto. Gli tirai fuori l'uccello. Ci avevo fantasticato sopra un sacco di volte. Era lungo e robusto e diritto come un bastone. Era già duro quando me lo spinse in bocca. Stavo per dare al mio amico tutto il piacere di cui ero capace e sarei stato ricompensato con la sua sborra. Non ci volle molto per sentire almeno sei abbondanti fiotti che inondavano la mia bocca. Solo quando sentii il suo cazzo sgonfiarsi, mandai giù il seme di Dave.
– Assicurati che lo mandi tutto giù, Dave, – suggerì Joe, – aiutalo pisciandogli in bocca!
Dave ridacchiò. Ci mise un po' ma alla fine il suo pisciò sgorgò, abbondante, arrivandomi direttamente in gola. Pisciava come se fosse davanti ad un orinatoio pubblico, in qualche stazione di servizio. Ed in effetti era così. In quel momento, io, per lui, non ero altro.
– Cazzo, non vedo l'ora di rifarlo! – disse Dave rimettendosi l'uccello dentro ai pantaloni.
– Usalo ogni volta che ti pare! – lo rassicurò Joe.
Alla fine ci separammo. Io presi il mio posto nel sedile posteriore della macchina del mio padrone e, in silenzio, aspettai che arrivassimo a casa. Una volta lì, mi inginocchiai di fronte a Paul e Joe e li supplicai di perdonarmi per aver mancato loro di rispetto in modo così grave. Volli esser certo che capissero che avevo davvero imparato la lezione, che avevo l'esatta consapevolezza delle gravità delle mie azioni.
– Niente è più importante per me che essere il vostro servo, – continuai. – D'ora in poi spenderò ogni mia energia per compiacervi, ve lo giuro, Padroni. Grazie per aver punito questo schiavo. – Mentre imploravo il loro perdono, leccavo le loro scarpe, baciavo freneticamente i loro piedi. Joe, per tutta risposta, decise di suggellare quel momento pisciandomi in testa.
– Non ti fare la doccia fino a domani, idiota! – mi ordinò il giovane padrone. Ringraziai di nuovo, e presi congedo!

La mattina seguente, mentre servivo a Joe la sua colazione, lui mi informò di una decisione che cambiò definitivamente la mia vita.
– Da oggi mi trasferisco a casa tua, servo, sei contento? Il che vuol dire che da oggi casa tua sarà casa mia!
Ero stupito. Non riuscivo a pensare. Avrei finalmente potuto vivere la mia realtà di schiavo per ventiquattro ore al giorno.
– È una notizia fantastica, Signore! – risposi con entusiasmo. – Quali delle camere libere posso prepararti?
Joe mi guardò con pietà, come se avesse davanti a lui il più stupido dei cretini. – Secondo te chi ha più diritto di usare la camera padronale, tu o IO?
– Tu, Signore, certamente tu, scusami. Tu meriti tutto il primo piano. Io mi sistemerò nello scantinato. – risposi.
– Bravo, fai sparire tutta la tua roba del cazzo entro questo pomeriggio. Voglio che entro sera sia tutto pronto per me.
– Si, Padrone, mi occuperò di tutto.
Joe finì la sua colazione mentre io leccavo con devozione i suoi piedi, per ringraziarlo di quell'onore insperato.
Passai il resto della giornata a traslocare le cose di Joe nella sua nuova casa e le mie nel nuovo, scuro, umido alloggiamento!
Quando il padrone tornò dagli allenamenti, quella sera, e prese possesso dei suoi nuovi spazi, portò con sé anche Tim, il suo secondo servo. Cenò guardando la televisione mentre i suoi due schiavi lo adoravano, accucciati ai suoi piedi, sotto la tavola. Dopo la cena si scopò Tim, mentre io guardavo. Sembrava proprio che gli piacesse far male al suo nuovo servo, mentre lo fotteva. Evidentemente lo divertiva il modo in cui Tim si sforzasse di trattenere i lamenti!

Quella notte la passai nello scantinato. Prima notte di una lunga serie. Tutto ciò che qualche mese prima possedevo, i miei soldi, la mia casa, le mie comodità, la mia macchina, tutto apparteneva ora al mio padrone. Sapevo che era giusto così. Ero consapevole che quella era la natura delle cose. Joe era un essere superiore. Io un inutile schiavo, inutile fino a che un padrone, degno di questo nome, non mi avesse fatto il dono di potergli dedicare la mia vita. Ero stato fortunato. Joe aveva dato un senso alla mia esistenza. Accettandomi come suo servo, mi aveva reso libero. Finalmente!

ci siamo!
finisce l'anno
e finisce pure la storia del servo e dei suoi due padroni!
l'esperimento di traduzione
iniziato undici capitoli fa
conferma che l'italiano
meravigliosa lingua
di gran lunga più evocativa e suggestiva che l'inglese
perde però sul campo dell'immediatezza.

non ho mai potuto tradurre espressioni come
MASTER PAUL o MASTER JOE
molto spesso usate nel racconto originale,
che in italiano sarebbero suonate false o ridicole,
così come ho trovato intraducibile
l'abitudine, sottilmente umiliante, tutta americana, di rivolgersi al proprio schiavo
usando il "diminutivo" BOY
(anche se lo schiavo è più vecchio del padrone).

l'indiscutibile ricchezza dell'italiano
non riesce a competere con la duttilità dell'inglese
che  sa  comporre parole credibili
semplicemente accostandone due insieme.
cocksucker
e le sue innumerevoli varianti
si riescono a rendere in italiano solo con "succhiacazzi".
alternative, altrettanto valide, non me ne sono venute in mente.
per non parlare poi di espressioni come
cum-eater
piss-drinker
dog-slave
dog-trainer
che immediatamente rendono l'idea di quello che si intende dire e che possono essere usate anche in dialoghi senza che questi perdano di efficacia.
parole create all'occorrenza
che non si possono tradurre in italiano, almeno con altrettanta concisione.

in generale
raccontando in italiano la storia di Paul e Joe
mi sembra che tutto risulti ancora più irreale, benché stimolante
(come mi è parso di capire dai commenti!!).
non escludo che raccontare in italiano
una storia ambientata in un contesto così palesemente lontano dal'italia
possa aver minato la sua credibilità.
mi chiedo se una storia ambientata a roma
a torino
o, che ne so, a gallarate
possa avere sfumature più adatte ad esser raccontate in italiano...
...magari faccio un esperimento
nel 2011.
per ora
buona fine e buon principio!!!

martedì 30 novembre 2010

FEET IN TRANSLATION - Il mio nuovo vicino - decima parte

per la rubrica


a volte ritornano!
e mestiere del servo
è quello di essere sempre disponibile
sia per il primo
che per il secondo padrone.
e poi è venerdì sera,
si esce!

IL NAVIGATORE NON ANCORA DI MATURA ETÀ
ARRESTI LA SUA LETTURA
OLTRE NON VADA
FUGGA DA QUESTE PAGINE DI PERDIZIONE
DIRIGA LA SUA ROTTA




Il mio nuovo vicino

decima parte


Venerdì sera. Ero a casa. Joe, il mio giovane padrone, era ad una partita di football. Il mio programma era semplice. Sprofondare nel letto il prima possibile. Ero esausto dopo una settimana di duro lavoro e di sovrumano allenamento con Clayton.
Alle nove, sentii aprire la porta. Immaginai che fosse Joe, in leggero anticipo rispetto ai suoi orari. Lasciai quello che stavo facendo per correre a salutarlo come merita un essere superiore, e mi trovai davanti Paul, il mio primo padrone! Rimasi stupito. Dopo qualche secondo passato a riprendermi da quella visione inattesa, mi inginocchiai e arrivai a quattro zampe fino ai suoi piedi. Ero contentissimo di vederlo. Non avevo avuto molte opportunità di servirlo dopo che Alan e Karen erano entrati a far parte della scuderia! Baciai i suoi piedi con devozione e mi misi in posizione di attesa. – Benvenuto Signore! È un piacere vederti! – dissi con rispetto.
– Mettiti qualcosa addosso – disse lui, ignorando la mia trepidazione, – andiamo in un posto!
Corsi in camera mia e indossai i pantaloncini della tuta, la prima cosa che trovai. Lo seguii fino alla sua macchina. Mi concesse di sedermi sul sedile del passeggero. Mentre guidava disse: – Andiamo in un leather bar, mi vedo con degli amici. In un locale del genere non è strano per un uomo avere il suo schiavo al seguito, quindi non ti sentirai fuori posto. Gli schiavi ovviamente devono stare nudi, quindi appena arriviamo, togliti quei pantaloncini.
Per la prima volta sarei rimasto nudo, in pubblico, in veste di schiavo. Ero nervoso. Ma avevo vicino il mio padrone, e questo mi aiutava a pensare che tutto sarebbe andato per il meglio.
– Gli schiavi si devono comportare in modo appropriato – continuava ad informarmi Paul. – Devono trattare tutti i maschi dominanti con rispetto, rivolgendosi ad ognuno chiamandolo “Signore”. Parlerai solo se prima ti viene rivolta la parola e quando non starai servendo me o altri superiori, sarai seduto per terra, ai miei piedi, e il tuo sguardo dovrà essere fisso sul mio pacco! Tutto chiaro, servo?
– Sì, Signore! – mi affrettai a rispondere.
– E visto che sei così portato, uno dei tuoi compiti sarà quello di fare da orinatoio per me e tutti gli amici seduti al mio tavolo. Quando qualcuno di loro dovrà pisciare, tu gli slaccerai i pantaloni, tirerai fuori il pisello, lo punterai dritto nella tua bocca, ed ingoierai tutto, senza perdere una goccia. Una volta che il mio amico avrà finito, pulirai per bene la sua cappella e lo ringrazierai per averti usato come pisciatoio!
– Sarà un onore, Signore! – dissi. Sarebbe stata una nuova esperienza per me, una di cui non sentivo l'esigenza, in realtà. Avevo sempre considerato con timore l'idea di frequentare un leather bar. Avevo l'impressione che gli uomini soliti a frequentare posti del genere fossero totalmente fuori della mia portata. Ora invece mi sarei trovato in un leather bar, nudo come un verme, accompagnato dal mio padrone e dai suoi amici. Un ingresso di tutto rispetto!
Il mio padrone mi distolse dai miei pensieri aggiungendone uno ancora meno tranquillizzante: – Se osi mettermi in imbarazzo avrai una punizione come nessun'altra avuta finora. – mi ammonì. L'avvertimento arrivò forte e chiaro nella mia testa!

Arrivati al bar, parcheggiammo sul retro. Ci avviammo all'ingresso, tenni la porta aperta per il mio padrone ed entrammo in un posto buio e pieno di fumo. Era abbastanza affollato. Molti indossavano completi di pelle e quasi tutti erano uomini grossi e minacciosi, almeno così sembravano a me. Sarà stata una suggestione ma quando entrai nel locale, mi sentii addosso tutti gli occhi dei presenti. Anche se in un posto del genere è abbastanza normale vedere schiavi al seguito dei propri padroni, assistere all'ingresso di un ragazzo completamente nudo, soltanto con una catena al collo, è un evento che attira l'attenzione. Il mio primo istinto fu quello di coprirmi, ma sapevo che sarebbe stato un comportamento sconveniente. Così, con le mani pietrificate dietro alla schiena, mi concentrai a seguire il mio padrone. Era facile aspettarsi che gli inferiori nella mia posizione fossero oggetto di battute e scherzi oltre che di sguardi. Ancora una volta mi ritrovavo a ringraziare Clayton per l'ottimo lavoro fatto sul mio fisico, di cui almeno non dovevo vergognarmi. A farmi vergognare bastava il mio piccolo cazzetto eternamente eretto. D'altra parte, il divieto di venire se non espressamente concesso, mi condannava ad essere in stato di eccitazione perenne.
Paul trovò il tavolo con i suoi amici. Clayton era uno di loro. Non riconobbi gli altri due.
– Allora questo è il tuo schiavo? – disse quello più giovane. Avevo sentito Clay rivolgersi a lui chiamandolo Steve.
– Sì, fa parte delle mie proprietà! – disse il mio padrone, sorridendo. Contemporaneamente tirò fuori venti dollari dal suo portafogli e li consegnò a me: – Portami una birra! – ordinò. – Qualcun altro ne vuole? – chiese ai suoi amici. Clayton accettò. – Due birre – ribadì il padrone.
Mi feci largo fra la folla che riempiva il bar per arrivare al bancone. La gente continuava a stuzzicarmi e a prendersi gioco di me e del mio pisello dritto. Notai altri due servi, nudi e con collare anche loro, e fu un sollievo sapere che non ero il solo in quella condizione. Finalmente arrivai al bancone e chiesi due birre al barista. – Gli schiavi devono ordinare dal fondo del bancone – disse rudemente, indicandomi dove andare.
– Mi scusi Signore! – dissi e raggiunsi il posto appropriato al mio stato.
Una volta lì, un uomo mi afferrò per le palle! Era un uomo grosso, indossava pantaloni di pelle ma nessuna maglietta, mettendo in mostra il torace peloso e le braccia possenti. – Ragazzo, ti rendi conto che essere il servo di un altro uomo è il livello più basso a cui un essere umano può ridursi? – mi chiese.
– Sì, Signore. – risposi semplicemente.
– E ti piace essere di proprietà di un altro uomo? Ti piace il fatto che lui ti usi come gli pare?
Era evidente che mi stesse umiliando per il piacere degli amici con cui stava. Così mantenni il mio ruolo e risposi con rispetto: – Sì, Signore. È quello per cui sono nato – e poi, sperando di averlo fatto contento, aggiunsi: – Signore, mi scusi, devo prendere da bere per il mio Padrone. Probabilmente non dovrei farlo aspettare tanto!
– Baciami i piedi e ti lascio andare! – disse lui. Mi inginocchiai senza un attimo di esitazione e baciai i suoi piedi mentre lui e i suoi amici ridevano rumorosamente. Mi piaceva sempre dare a questi maschi dominanti le soddisfazioni che meritavano per essere così superiori a me.
Mi rialzai e aggiunsi, in tono sentitamente sottomesso: – È stato un onore poter baciare i suoi piedi, Signore. Posso ordinare da bere per il mio Padrone adesso?
– Sei uno schiavo ben addestrato, sai comportarti con i tuoi superiori. – disse lui. – Il tuo padrone deve essere fiero di te. Scommetto che sei anche un ottimo succhiacazzi. Ti piacerebbe darti da fare con questo? – disse maneggiando un generoso gonfiore dentro ai suoi pantaloni!
– Mi piacerebbe molto, Signore, ma devo proprio occuparmi del mio Padrone. Sarò punito severamente se lo faccio aspettare troppo.
Fortunatamente si convinse a lasciarmi andare.
Riuscii a chiedere due birre al barista. Pagai, lo ringraziai e tornai al tavolo. Nessuno fece caso a me. Presi posto ai piedi di Paul e fissai il mio sguardo sul suo pacco, come mi aveva ordinato di fare. Era una sottile ma cocente umiliazione, starsene lì, immobile, con gli occhi fissi sul cazzo di un altro uomo, come un cane da punta che fissa il suo osso. Era un modo per sottolineare una volta di più che, mentre il mondo intorno viveva i suoi interessi, l'unica priorità della mia vita iniziava e finiva nei pantaloni del padrone.
Dopo circa mezzora, Paul si alzò e mi disse che doveva pisciare. Io, diligentemente, aprii la patta dei suoi jeans, tirai fuori il suo grosso pisello e spalancai la bocca, ben consapevole che molti occhi si sarebbero concentrati su di me. Un fiotto potente sgorgò dal cazzo del mio padrone. Anche i tavoli vicini avevano smesso di parlare e guardavano soltanto me. Ben presto tutto il bar ammirava il punto più basso in cui un uomo può scendere. Io, dal canto mio, facevo il mio dovere, sapendo che un'umiliazione del genere era parte del mio ruolo di schiavo. Una volta finito, pulii con rispetto le ultime gocce di urina e ringraziai il mio padrone. L'intero locale si sciolse in un'ovazione. Io, ignorando gli applausi, o almeno facendo finta di niente, tornai al mio posto, seduto per terra, e ripresi a fissare il pacco di Paul, aspettando il prossimo ordine!
Era buffo. Poco prima, in macchina, durante il tragitto che mi avrebbe portato nel leather bar in veste pubblica di schiavo, provavo ansia per quello che sarebbe potuto accadere. Ora, dentro la mia mente, si faceva strada un senso di appagamento e gratitudine per il mio padrone. Ero fiero di poter esser lo strumento attraverso cui tutti potessero vedere la superiorità di Paul. Sempre di più sentivo il bisogno di essere usato di fronte ad altri, di pubblicizzare il mio stato di servo, per poter servire il mio padrone anche in un modo diverso. Rendendolo ancora più vincente agli occhi degli altri oltre che ai miei.
Poco dopo Clayton si alzò per andare in bagno. Paul lo fermò invitandolo ad usare il suo orinatoio! – Ok! – disse il mio istruttore – Tracy ha avuto in bocca il mio pisello già un sacco di volte, ma non ha mai avuto il piacere di mandare giù il mio piscio. Ti va di farti una bella bevuta? – disse infine rivolgendosi a me.
– Sì, Signore, sarebbe un onore! – risposi. E non era solo per forma. Ammiravo Clayton e adoravo servirlo per dimostrargli quanto mi sentissi umile di fronte a lui. – Posso? – gli chiesi, facendo per slacciare i bottoni dei suoi jeans.
– Prego – disse lui, sogghignando. Replicai la performance fatta poco prima per il mio padrone. Di nuovo ottenni l'attenzione di tutto il bar. Di nuovo, l'adempimento del compito venne sottolineato da applausi, fischi e urla!
Per molte ore, quella notte, continuai a portare birre e ingoiare urina del mio padrone e dei suoi amici. Fui costretto anche a chiedere molte volte a Paul il permesso di andare al bagno, per svuotare la vescica che loro stessi continuavano a riempire! Durante una delle mie ritirate mi imbattei di nuovo nel tipo che mi aveva fermato al bancone, qualche ora prima. Questa volta pretese che gli succhiassi il cazzo. D'altra parte, aggiunse, glielo avevo promesso. Non era il caso di discutere circa gli impegni presi, veri o presunti che fossero. Mi trovavo di fronte ad un maschio dominante e avevo il dovere di fare ciò che mi ordinava. Mi misi in ginocchio e gli offrii uno dei miei servizi deluxe! Lui scoppio nella mia bocca, afferrò la nuca e tenne la mia testa immobile in quella posizione per un paio di minuti. Fortunatamente avevo una resistenza ben più ampia. – È stato il pompino migliore che abbia mai avuto! – disse dopo aver ripreso lucidità! – Cazzo, il tuo padrone è un uomo fortunato.
Mi congedai da lui avendo ben chiaro in mente che il vero fortunato tra me e il mio padrone ero senz'altro io.
A fine serata, orgogliosamente, seguii il mio padrone fuori dal locale. In macchina mi disse che era contento di me, che mi ero comportato come un bravo schiavo. – Ti sei divertito? – aggiunse.
Ci pensai su un momento. – Sì, Padrone. Sai, è sempre un onore per me servirti. Mi sono reso conto di una cosa. Desidero che più gente possibile mi veda ai tuoi piedi. Ero veramente fiero di essere al tuo fianco stasera, Padrone. Spero che vorrai portarmi di nuovo con te!
– Tu sei nato per essere un servo! Questo è il motivo per cui tutto ti sembra così naturale – disse Paul.
– È vero, Signore. Essere uno schiavo, il TUO schiavo, è la cosa migliore che mi sia mai successa. Non sono mai stato così felice. Ti devo tutto. Sento veramente di appartenerti, Padrone!
Il resto del tragitto verso casa lo passai in silenzio. Appena arrivati, senza scendere dalla macchina, il mio padrone mi ordinò di succhiarglielo. Eravamo nel vialetto, tutti avrebbero potuto vederci. Beh, sarei stato fiero di mostrare agli altri come dare piacere del proprio padrone. Mi impegnai al massimo e fui ricompensato da abbondanti fiotti di sborra. Mentre pulivo le ultime gocce dal pisello del mio padrone, Paul mi disse che, per ricompensa, avrei potuto segarmi quella sera, prima di andare a dormire. Anzi, fece di più. Si tolse le scarpe, si sfilò i calzini e me li diede, in modo che potessi adorarli mentre svuotavo le mie palle! Non persi l'occasione per baciare i suoi piedi nudi e caldi. Lo aiutai a rimettersi le scarpe, baciai anche quelle augurando a Paul la buonanotte.

Già pregustavo il mio premio e la ricca dormita che ne sarebbe seguita e invece, appena chiusa la porta, mi accorsi che le mie mansioni, per quel giorno, non erano ancora finite! Joe era sdraiato sul divano, mezzo addormentato, con la televisione accesa. Appena entrai però si alzò di scatto e venne verso di me con fare non proprio amichevole! – Dove cazzo sei stato, coglione? Lo sai che il tuo compito è stare qui ad aspettare di servirmi, tu piccolo insignificante pezzo di merda?
Senza fiatare, mi misi in ginocchio e cercai di giustificarmi. – Signore, ero con tuo padre. Mi ha portato in un leather bar. – dissi con tono implorante giusto un attimo prima di baciare i suoi piedi nudi.
Far riferimento a suo padre sembrò placare il mio giovane padrone. Si tolse i pantaloncini che ancora portava dalla partita, tornò a sedersi sul divano.
– Mettiti al lavoro, succhiacazzi – disse, poggiando i suoi piedi sul tavolino da caffè e aprendo le gambe. Io, strisciando, mi infilai nel mezzo e cominciai a leccargli le palle e a succhiargli il pisello, respirando avidamente il profumo acre del suo pacco. Joe mugolava di piacere e questo mi eccitava sempre, moltissimo. Dopo qualche minuto tirò su le gambe. Io mi ritrovai la faccia fra le sue chiappe! – Adesso leccami il culo! – mi ordinò. Stavolta non tentennai neanche un secondo, e cominciai subito a fare del mio meglio. Spingevo la lingua più che potevo e Joe sembrava impazzire di piacere.
Passarono dieci minuti e il mio padrone si alzò improvvisamente. Troneggiava sopra di me, col suo cazzo dritto e lucido, i suoi quasi due metri d'altezza, il suo corpo statuario.
– Stasera mi ti scopo! – sentenziò.
Io ero sorpreso. Non aveva mai dimostrato che potesse interessargli usarmi in quel modo! Ovviamente non poteva che farmi piacere. Soddisfare il mio padrone, in ogni modo, era per me il traguardo più importante. Certo, avevo qualche timore nell'immaginare quel pisello così grande dentro al mio sedere. Fortunatamente Joe non mi diede modo di pensarci troppo su!
– Mettiti un po' di lubrificante e aspettami in camera! – ordinò.
Mi raggiunse dopo qualche minuto. Si buttò sul letto e mi disse di lavorare ancora un po' sul suo uccello: – Fallo diventare bello duro, frocetto!
Non ci volle molto per raggiungere lo scopo. – Bravo servo, ora mettimi un po' di gel sul cazzo. – E io così feci accuratamente. Joe si tirò su, mi afferrò per i fianchi, e come se non pesassi niente, mi girò mettendomi a quattro zampe sul letto. Lui si sistemò dietro di me – Eccolo che arriva! – disse ridacchiando, e infilò solo la punta del suo uccello. Era enorme. Mi sfuggì un gemito di dolore. – Chiudi quella bocca del cazzo, idiota. Abbiamo appena cominciato! – mi rassicurò Joe!
Poi lo spinse tutto dentro! Così, d'un colpo, tutto dentro! Era come se qualcuno avesse infilato nel mio sedere una palla da baseball! Cercai di rimanere zitto ma il dolore era troppo intenso, e inaspettato. Mi sfuggì un lamento ma Joe non gli diede alcun peso. Continuava a spingere il suo pisello avanti e indietro. Io avevo la sensazione che mi arrivasse nello stomaco. Ma Joe spinse ancora di più. Colpi decisi, impietosi. Mi teneva fermo con una mano sulla nuca, poi sentii il suo piede appoggiarsi sulla mia testa, con tutto il peso, facendomi affondare nel materasso. Lui continuava a scoparmi senza rallentare, anzi, aumentando il ritmo. Io, in stato confusionale, tiravo fuori la lingua per leccare il suo tallone! Ormai sentivo il suo pisello uscirmi dalla bocca!
Poi si fermò.
Mi rimase dentro, per qualche minuto. Immobile. Avevo le lacrime agli occhi per il dolore e per una sensazione nuova, provata inaspettatamente. Dopo un po' sentii Joe tirare fuori il suo cazzo quasi del tutto. Non ebbi il tempo di provare sollievo però perché con un colpo deciso lo spinse di nuovo fino in fondo. Ripeté lo stesso gioco per qualche volta e mi accorsi che nella mia testa, il dolore lasciava posto al piacere. Ad un tratto mi sentii completamente rilassato, pronto a ricevere l'uccello del mio padrone per tutto il tempo che desiderasse. E anche Joe non era meno soddisfatto! – Hai un buco così stretto, è perfetto per me. Mi piace sentirlo che si apre!
Io ero in paradiso!
Il padrone continuò a fottermi. Il suo ritmo diventava sempre più deciso e regolare. – Prendi il mio cazzo fino in fondo, schiavo, – sussurava intanto. – Tu mi appartieni. Ti scoperò ogni volta che mi pare!
Sentirlo parlare mi eccitava ancora di più. Avrei voluto che continuasse a scoparmi per sempre! Invece, dopo una decina di minuti, sentii il suo corpo irrigidirsi, le spinte fermarsi. Joe spinse il suo uccello fino in fondo e si fermò. Sapevo che era solo la mia suggestione, ma sentivo il suo cazzo ancora più gonfio, pulsare dentro di me. Con un urlo liberatorio il mio padrone mi sborrò dentro. Almeno cinque fiotti di sperma. Mi parve di sentirli tutti, uno dopo l'altro. Lui crollò sopra di me, esausto quasi quanto lo ero io. Il suo pisello, ancora dentro di me, si sgonfiava lentamente. Dopo un po' si girò di lato, sprofondando nel letto, lasciandomi letteralmente con un senso di vuoto.
– Puliscimi! – fece appena in tempo a dirmi, prima di addormentarsi.
Feci quello che mi era stato ordinato .
Poi presi la mia ricompensa. Quella che mi era stata concessa dal mio primo padrone. Recuperai i suoi calzini, mi inginocchiai ai piedi di Joe e adorando gli uni e gli altri, concentrando nella mia mente tutte le esperienze vissute in quel giorno, mi feci la sega più bella della mia vita!

Mi svegliai prima di Joe, sabato mattina. Ero in cucina a lavare i piatti rimasti sporchi da qualche giorno e sentii il mio padrone chiamarmi dal piano di sopra.
– Devo pisciare, schiavo!
Corsi in camera. Si liberò abbondantemente nella mia bocca e poi mi ordinò di preparargli la colazione. La giornata cominciava nel migliore dei modi!
Dopo mezzora, non essendo ancora sceso, decisi di portare al mio padrone la colazione a letto e mi inginocchiai ai suoi piedi aspettando che finisse.
– Sai, – iniziò lui – c'è un ragazzo a scuola. Anche lui vuole diventare mio schiavo. Ho deciso che lo manderò da te. Gli dirai tutto quello che ha bisogno di sapere.
Istintivamente provai gelosia per il nuovo intruso. Era più forte di me. Sapevo bene però che il padrone non mi apparteneva. Ero io ad appartenere a lui. E un ragazzo come lui meritava di avere quanti più schiavi volesse. In più, non mi sorprendeva affatto che ci fossero tanti altri inferiori che desiderassero servirlo. Era solo questione di tempo!
– Lo farò, Signore. C'è qualcosa in particolare su cui devo istruirlo? – gli chiesi.
– No, – rispose Joe – soltanto assicurati che capisca bene cosa vuol dire essere uno schiavo e cosa mi aspetto da chi mi appartiene. Dagli qualche dritta su come succhiare cazzi. Tutti i miei schiavi devono essere bravi come te! – aggiunse ridendo.
– Stai tranquillo, Padrone – dissi io, gongolando per il velato complimento appena ricevuto. Per uno schiavo è talmente importante sapere di essere in grado di soddisfare il proprio padrone! – Mi assicurerò che capisca quale onore sia appartenere ad un dio come te!
– Si chiama Tim – riprese Joe. – È nella mia stessa squadra di baseball. Non riesce a staccarmi gli occhi di dosso. L'altro giorno l'ho preso da parte, nello spogliatoio, e gli ho concesso di farmi un bocchino. Ho avuto paura che me lo staccasse!! Era affamato! Così gli ho detto che avrebbe potuto avere l'onore di succhiarmi il cazzo molto più spesso se avesse accettato di diventare il mio servo. Lui ha detto di sì senza neanche pensarci! – Un sorriso soddisfatto era stampato sul viso del mio padrone.
– Signore, gli darò tutte le istruzioni che serviranno! – gli promisi.
Un altro schiavo nel serraglio di Joe. Non ero sorpreso, solo infastidito. Sapevo però che quello non era che l'inizio. Col passare del tempo, sempre più servi avrebbero bussato alla porta del mio padrone.
Sarebbe stato un lavoro durissimo riuscire a rimanere il migliore!