lunedì 21 dicembre 2009

FEET IN TRANSLATION - Il mio nuovo vicino - prima parte

ogni lingua ha la sua vocazione!
e
sebbene mi riferisca alla lingua in quanto idioma
non sono certo che questa affermazione non valga pure per la lingua in quanto muscolo!
ma di idioma volevo parlare,
al muscolo ci si penserà più avanti.
come la vocazione del francese è la danza classica
e quella dell'italiano è la canzone melodica
una delle vocazioni dell'inglese (americano) è il racconto erotico di un certo tipo,
quello che vira un po' nel pornografico,
che parla di giochi di dominazione,
che sguazza nel fetish.
una vocazione di nicchia,
è vero,
ma non è che 'sti americani possono sempre avere il primato su tutto!

in giro per la rete si trovano molti racconti
sia in italiano che in inglese.
quelli scritti da connazionali,
anche con le migliori intenzioni,
finiscono sempre per provocare lo smosciamento anziché l'eccitazione,
un po' perché, sarà un caso,
ma sembra che nessuno degli autori abbia superato la quinta elementare,
un po' perché,
non c'è niente da fare,
rendere in italiano espressioni come
FEET-MASTER o FEET-SLAVE
(solo per fare un esempio)
è praticamente impossibile.
o almeno è impossibile farlo ottenendo lo stesso risultato,
immediato ed evocativo;
e chi si vuole sollazzare leggendo un racconto del genere
quello vuole,
immediatezza
e non giri di parole.


però mi son voluto togliere lo sfizio
e ho provato a tradurre una storia scritta da un americano,
per americani,
grondante di luoghi comuni americani.
ho cercato di restare fedele il più possibile all'originale,
pur con qualche licenza,
tanto da scrivere passaggi addirittura sgradevoli,
ma,
d'altra parte,
se lo si fa a scopo scientifico,
lo si faccia come si deve.

è una storia sicuramente di fantasia
che tocca solo di striscio l'argomento a me più caro.
è molto più incentrata su un rapporto di dominazione/sottomissione
che parte soft
ma che non ci rimane!

mi taccio!


per la rubrica

Il mio nuovo vicino

prima parte


Era primavera inoltrata. La casa vicino alla mia era in vendita da più di quattro mesi. Finalmente, un sabato pomeriggio di fine maggio, i nuovi proprietari cominciarono il trasloco. Bussai alla porta per dare loro il benvenuto e per offrire il mio aiuto, nel caso avessero bisogno di qualcosa.

Scambiammo i soliti, inutili convenevoli. Erano in tre. Paul, sua moglie Linda, e Joe, loro figlio. Scoprii più avanti che Paul ed io eravamo coetanei, trentasei anni, e che Joe aveva diciassette anni. Non ho mai saputo quanti anni avesse Linda. Mi è bastato pensare che avesse più o meno gli anni del marito. Offrii di nuovo il mio aiuto, altri inutili convenevoli di buon vicinato, e me ne tornai a casa.

Una settimana più tardi Paul era di fronte al suo garage, con la porta spalancata, circondato da scatoloni. Cercava di avere la meglio sul caos post-trasloco. Io tornavo dal centro commerciale. Decisi di affacciarmi per dargli un saluto. Già dalla prima volta che vidi Paul, sette giorni prima, ne fui fortemente attratto. Dall'alto dei suoi quasi due metri torreggiava sopra il mio metro e settantacinque. Anche completamente vestito, si intuiva che avesse un fisico massiccio, solido. La sua camicia non nascondeva un torace possente, mentre i bicipiti schizzavano fuori dalle maniche corte! Era affascinante proprio per il suo aspetto rude e un po' trasandato. La barba di qualche giorno era perfetta su di lui.

Mentre scambiavamo due chiacchiere, lo aiutai a sistemare un po' di cose. Aprivo scatoloni, lui mi diceva dove sistemare quello che c'era dentro e io...sistemavo! Paul si accomodò subito nel suo ruolo di direttore dei lavori. E le due ore di palestra che avevo mancato, le recuperai seguendo i suoi ordini. Peccato che di ore ce ne vollero più di quattro. Io ero esausto. Esausto ma contento. Avendo una segreta tendenza alla sottomissione, aiutare un uomo come Paul fu un piacere per me.

Paul iniziò a passare molto tempo nel suo garage, e quando la primavera diventò estate, passava lì dentro tutte le sue giornate. Linda faceva dei turni impossibili in ospedale ed io la incontravo raramente. Paul stava rimettendo a posto una vecchia Mustang acquistata da poco. Io, con la scusa di aiutarlo, avevo molte occasioni per stargli intorno. Anche solo stare nella stessa stanza con lui mi faceva sentire meglio e, a poco a poco, cominciai ad allontanarmi dai miei amici, dai miei impegni, pur di stare con lui.
Più il tempo diventava afoso, meno Paul si vestiva. Era sempre in canottiera, e le sue braccia definite sembravano fatte apposta per essere ammirate. Le ascelle avevano una peluria folta ma non esagerata, del tutto coerente col suo stile. Quando faceva veramente caldo poi indossava pantaloncini corti, senza neanche più la canottiera. Era fiero del suo corpo, e come dargli torto? Il suo torace era possente, con i pettorali più ben delineati che io avessi mai visto (escludendo il concorso di Mr. America!). Addominali con una tartaruga perfetta. Sembrava che non avesse traccia di grasso nel suo corpo. Solo muscoli! E, per finire, era peloso dove doveva esserlo. Era magnifico, e consapevole!

Più tempo passavo con Paul, più il suo atteggiamento nei miei confronti diventava autoritario. All'inizio si trattava solo della richiesta di portargli qualche attrezzo o di raccogliere qualcosa che gli era caduta di mano. Poi, via via che io mi mostravo più obbediente, lui si faceva più arrogante. Mi mandava in casa a prendergli dell'acqua, a preparargli qualcosa da mangiare oppure mi spediva al negozio di ricambi per la macchina per comprargli qualche pezzo. La forma era ancora quella della domanda e non dell'ordine ma per entrambi era già chiaro come non ci fosse alcuna possibilità di scelta per me. Dava per scontato che io obbedissi alle sue “richieste”.
Anche suo figlio Joe, che spesso era con noi, mi dava degli ordini. Avevo la sensazione che Paul gli stesse insegnando ad essere una persona dominante, che lo stesse tirando su a sua immagine! E Joe si dimostrava un ottimo allievo. Ogni volta che mi vedeva eseguire docilmente un ordine di suo padre, io vedevo sul suo visto un sorriso compiaciuto. Quando suo padre mi disse di prendergli un attrezzo dal ripiano più basso di un armadietto a cui Joe era pigramente appoggiato, non solo non si spostò, costringendomi a giragli intorno, ma una volta inginocchiato, mi strofinò la pianta del suo piede nudo sulla faccia. Sebbene questo fosse estremamente umiliante per me, ero disposto a sopportarlo, pur di passare del tempo insieme a Paul.

Una sera, poco prima di tornarmene a casa dopo aver passato l'intero pomeriggio ad assistere Paul alle prese con la sua Mustang, mi disse di andare in casa a prendere una birra per lui e una per Joe. Ovviamente non ne offrì una anche a me! Andai dentro, presi due birre e le portai in garage. Le aprii, ne passai una a Paul e una al compiaciuto Joe. Né l'uno né l'altro si disturbarono a ringraziarmi. Mentre bevevano le loro birre, Paul mi disse di dare una pulita al pavimento, cosa che io, manco a dirlo, cominciai subito a fare.
Quando tornai a casa, quella sera, mi fermai a riflettere su ciò che stavo diventando. Il mio atteggiamento, apertamente sottomesso, era palese sia a me stesso che a loro. Ero sempre stato attento a nascondere questo aspetto del mio carattere ma mi rendevo conto che di fronte a Paul non ne ero in grado. Ero incapace a resistere al potere di Paul su di me. Ma c'era di più. Iniziavo a capire che piegarmi a lui mi faceva sentire bene come mai ero stato prima.

Il giorno dopo ero sempre là, ancora a sua disposizione. Paul lavorava alla sua macchina, io lo guardavo e aspettavo i suoi ordini. Mi disse di tenere un tubo mentre lui lo fissava alla morsa. Mi dovetti piegare in modo goffo per riuscire a tener fermo quel tubo. Ero immobile e un po' tremolante. Lui afferrò un attrezzo proprio dietro di me e, nel farlo, strofinò la sua ascella sulla mia guancia. Avrebbe potuto evitarmi, se l'avesse voluto. Invece si limitò a sghignazzare per l'umiliazione a cui mi aveva sottoposto. Entrambi sapevamo pure che io avrei potuto muovere la testa per evitare il contatto con lui e che, invece, avevo scelto di non farlo!
Per tutto il giorno rimasi con l'odore del suo sudore sulla mia faccia. Era un continuo richiamo a quell'istante di degradazione. Il pensiero di avere avuto un contatto così fisico con Paul mi eccitava da morire!

Il sabato successivo eravamo ancora in garage, a lavorare sulla Mustang. Era già primo pomeriggio e Paul mi disse di passargli un secchio. Non ne trovai uno lì intorno, così andai a casa mia a prenderne uno. Feci per passarglielo ma lui “Tienilo!”, mi disse fermamente. Seguì il suo ordine, pur non capendone il senso. “Più basso!”, mi disse. Abbassai il secchio. Lui si slaccio la cerniera dei pantaloni e cominciò a pisciarci dentro. Io ero sbalordito! Non avevo ancora visto il suo cazzo. Ovviamente non era duro ed era comunque molto grosso. Ero ipnotizzato dal fiotto che usciva dal quel pisello così imponente. Respiravo l'odore di maschio che veniva su dal secchio che tenevo in mano. Quando ebbe finito, si sgrullò il pisello, facendo cadere un paio di gocce sulla mia mano, si rimise dentro il cazzo e tornò al lavoro, senza dire una parola. Portai diligentemente il secchio nel bagno, lo svuotai, leccai via le gocce del piscio di Paul dalla mia mano e tornai in garage, in attesa della mia successiva mortificazione.

La domenica Paul mi affrontò apertamente. “Non credi che sia il caso di finirla con questi giochetti?”.
“Che vuoi dire?”, chiesi in modo innocente, sapendo esattamente a cosa si riferisse.
“Credi che non veda come sbavi quando mi guardi? Il modo in cui scatti quando ti do un ordine? È ovvio che ti piace sottometterti ad un uomo dominante”. E continuò: “Lo sai, i tipi come me sono stati creati per dominare altri uomini. Guarda me! Io sono superiore alla maggior parte degli altri!”.
Sollevò il braccio e gonfiò il bicipite. Pensavo che il muscolo scoppiasse da un momento all'altro. “Tocca!”, mi ordinò. Circondai il suo braccio con entrambe le mani, la sua forza mi toglieva il fiato. “È fantastico”, fu l'unica cosa che riuscii a biascicare.
“I tipi come te, invece, sono stati creati per servire uomini come me. Credo che tu lo sappia. Questo è il motivo per cui sei così impaziente di ricevere ordini da me. Un vero uomo non avrebbe mai lasciato che strofinassi la mia ascella sulla sua faccia, come io ho fatto con te. Un vero uomo non reggerebbe mai un secchio per farci pisciare dentro un altro uomo”. Abbassai la testa. “Da subito, dal momento che ti ho visto, sapevo che eri un frocetto!”. Mi prese per il mento, facendomi alzare la testa. Mi guardava fisso negli occhi. “Ora ti faccio una domanda e tu dovrai rispondermi onestamente. Non sarebbe tutto più facile se tu, ora, ti inginocchiassi ai miei piedi? Muori dalla voglia di essere il MIO SERVO, no?”.
Iniziai ad avere paura. Avevo passato tutta la mia vita a nascondere la mia omosessualità e il mio bisogno di sottomissione. Ora quest'uomo prepotente dimostrava di conoscermi meglio di chiunque altro, forse anche meglio di me stesso! Ho sempre avuto la sensazione che qualcosa mancasse nella mia vita. Da sempre ero affascinato dalla sottomissione e dalla schiavitù “consensuale”, desideravo profondamente quel genere di vita ma mai avevo cercato di metterlo in pratica. Vivevo una vita discreta, velata, da maschio! Avevo un lavoro da analista in una banca solida e affermata, un lavoro molto ben pagato. Ero rispettato da amici e colleghi. Eppure eccomi qua, di fronte a quest'uomo, capace di leggere in un secondo tutto quello che avevo sempre tenuto nascosto. Paul sapeva quale era il mio vero scopo nella vita. Ed aveva ragione. Avevo sbagliato tutto fino ad allora, imbrogliato me stesso. Il mio scopo nella vita era quello di servire maschi dominanti.
Decisi di fare la cosa giusta. Con un filo di voce, gli risposi: “Sì”!
“Sì, che?”.
“Sì, Padrone!”.
“E allora perché non lo fai?”, disse con tono pacato.
Mi misi in ginocchio. Guardai il suo viso ed immediatamente provai un senso di calma. Sapevo che era quello il mio posto e mi sentivo appagato.
“Che vuoi fare adesso, servo?”.
Pensai un attimo alla risposta, poi dissi: “Voglio baciare i tuoi piedi, Padrone.”.
“Ottima risposta. Abbassa quella faccia e mostra al tuo padrone un po' di rispetto!”.
Avvicinai la faccia al pavimento e, con devozione, baciai i suoi piedi. Sembrava un gesto così naturale, la cosa più naturale del mondo.
“Andiamo dentro a parlare”, mi disse. “Ancora meglio, andiamo da te!”.

Mi rialzai e seguii il mio Padrone dentro casa mia, dentro la mia nuova vita.

2 commenti:

marco ha detto...

decisamente stimolante in molti passaggi, anche se non mi riconosco per nulla in una scelta di vita del genere ;)) ma per divertimento... mm si decisamente divertente eheh

ΓρεγΚ* ha detto...

Grazie per esserti preso l'impegno di tradurre il racconto, davvero eccitante!