per la rubrica
una
storia ritrovata per caso
tradotta
dall'inglese
con
qualche piccola aggiunta
e
soprattutto una completa rivisitazione del finale
inspiegabilmente
lugubre nell'originale
e
molto più adatto a sognatori romantici europei
nella
mia versione.
Ron
Ho incontrato Ron ad
una festa. Un appartamento minuscolo pieno di gente.
C’erano pochissime
sedie, tutte già occupate e continuavo a mangiare dal mio piatto di
carta, seduto ai suoi piedi. Lui sedeva su una poltroncina e sembrava
assorto in qualche articolo su GQ. Il suo abbigliamento firmato
reggeva il confronto con le costosissime scarpe italiane di pelle e i
calzini ricercati. Aveva un'aria superba ed arrogante quel ragazzo di
ventun anni. Trasudava regalità e classe. I suoi capelli biondo
scuro, un po’ scapigliati, come se il vento ci avesse giocato fino
a un momento prima, lo rendevano ancora più intrigante. Erano
arruffati, ribelli, non curati, e aumentavano da morire il suo
fascino. Lo facevano sembrare più abbordabile. Aveva
penetranti occhi blu e una leggera barba incolta che aggiungeva il
giusto tocco di mascolinità.
Eravamo entrambi un po’ ubriachi. Io mi sentivo così tanto a mio agio da commentare liberamente i suoi calzini, come se fosse un abituale argomento di discussione e confessando, non contento, di avere un'insaziabile passione per i piedi. Credo di avergli detto a un certo punto che stavo lottando con tutte le mie forze per non sfilare le sue scarpe e annusare i suoi piedi. Senza esitare un attimo, il giovane figo mi sorride e mi piazza un piede sul pacco (già duro). Pochi momenti di eccitazione confusa e mi ritrovo disteso sul pavimento nel bel mezzo della festa, con entrambi i suoi piedi a mia disposizione. Uno sul mio petto. L’altro appoggiato sul mio uccello, che gridava la sua voglia di uscire da dentro i pantaloni! Ron sosteneva di non aver mai incontrato nessuno a cui piacessero i piedi ma che doveva arrendersi all’evidenza che i suoi piedi me lo stavano facendo venire duro! Passammo la notte insieme. Iniziammo a frequentarci. E nel giro di una settimana ero completamente innamorato di lui. E lui di me! Eravamo compatibili sotto molti punti di vista, sia spirituale che fisico. E sentimentalmente, in quel momento, eravamo nelle stesse condizioni. L’unico problema era scarsa sintonia a letto, almeno all'inizio! Ma quando Ron cominciò ad assecondare la mia passione per i piedi, scoprì due cose. La prima, che farseli leccare gli piaceva proprio. La seconda, che più mi trattava come il suo servo personale e più la sua fantasia si accendeva. In poco tempo si rese conto di quanto implacabilmente io fossi diventato dipendente dai suoi piedi, di quanta naturale predisposizione avessi nel servirlo e nel giro d tre settimane di convivenza, Ron diventò un esperto nell’esercitare la sua autorità su di me e la mia vita fu per sempre stravolta.
Presto si crearono dei
riti che scandivano le nostre giornate insieme.
Ogni mattina quel
ragazzo biondo dall'aspetto angelico pretendeva che mi svegliassi
prima di lui, delicatamente scivolassi fuori dal letto e gli
preparassi il caffè. Dopodiché era preciso ordine inginocchiarmi in
fondo al letto, infilare la testa sotto le coperte e, lentamente,
devotamente, leccare le piante dei suoi piedi nudi per farlo
svegliare. Lui non muoveva un dito se c'ero io che potevo farlo al posto suo.
Fisicamente lo tiravo su dal letto per metterlo seduto. Aggiustavo i
cuscini dietro la sua schiena per farlo stare comodo. Ero io a
portargli il vassoio con il caffè, ad accendergli la televisione sul
suo programma preferito e a succhiare le dita dei suoi piedi,
devotamente, con cura mentre lui sorseggiava il suo caffè e guardava
la televisione, senza dire una parola. Leccavo tra un dito e l'altro
quei piedi meravigliosi fino a che Ron non mi ordinasse di portar via
il vassoio.
“Sbrigati, ho bisogno di un tappetino per i miei piedi!”, diceva, ed io ero stato addestrato a togliermi la maglietta e buttarmi faccia in giù sul pavimento così che lui potesse poggiare i piedi nudi sulla mia pelle calda invece che sul 'freddo' parquet. (il fatto che il mio viso e il mio petto nudo poggiassero invece sul freddo parquet non era rilevante, per nessuno dei due). A Ron piaceva riscaldare i suoi piedi sulla mia schiena mentre mi dettava gli ordini per la colazione. Una volta finito aspettavo uno schiocco delle sue dita per iniziare l'adorazione del mattino. Scattavo a pancia all’aria per poter ricevere i suoi piedi direttamente in faccia, ricoprirli di baci e, fra un bacio e l’altro, recitare il mio mantra del buongiorno, “Io ti adoro, SIGNORE. Io ti adoro, Ron. Vivo per stare sotto i tuoi piedi. Tu e il tuo corpo perfetto siete tutto ciòa cui penso, mattina, pomeriggio e sera. Io vivo per compiacerti, Signore. Non c’è niente che non farei per il mio Re. Tu sei il mio Dio sulla terra e io a te sacrificherò la mia comodità, il mio denaro, il mio tempo, la mia volontà. Solo per te, mio Principe perfetto, solo per l’onore di avere questi splendidi, preziosi piedi sulla mia faccia da servo”. Il mantra durava fino a che faceva piacere a Ron, fino a che lo divertiva. Alcune mattine giusto qualche minuto, altre anche mezzora. E io non osavo smettere di baciare o di adularlo per un solo istante fino a che lui non decidesse di fermarmi semplicemente dicendo “BAGNO!”. Allora diventavo il suo tappetino personale. Mi allungavo perpendicolarmente al letto fino a raggiungere con la mia testa la porta del bagno, lasciata sempre aperta. Così disteso aspettavo che Ron camminasse su di me senza bisogno di toccare il pavimento con i piedi. La mia testa, girata di lato, aveva l'onore di ricevere il suo ultimo passo prima di raggiungere il bagno. Lui mi passava sopra senza alcun riguardo, prendendo il suo tempo, confidando nel fatto che fosse la cosa più naturale da fare, sia per lui che per me. Gli ordini prevedevano che io rimanessi immobile in quella posizione mentre Ron pisciava, mentra faceva le sue cose, in modo che potesse tornare indietro fino al suo letto, passando di nuovo sopra di me. Una volta seduto, avevo il permesso di infilargli i calzini di spugna e le Nike ed aiutarlo a indossare i pantaloni della tuta. Fatto questo, ero immediatamente a quattro zampe affinché lui potesse cavalcarmi come un mulo fino ai suoi attrezzi da palestra. Mentre Ron si allenava io preparavo quello che mi aveva ordinato per colazione. Quando finiva i suoi esercizi, suonava un campanello. Io lasciavo immediatamente qualsiasi cosa stessi facendo per assumere di nuovo la posizione del mulo sotto le sue gambe e portarlo in cucina per la colazione. Ron mangiava ed io strisciavo sotto al tavolo per il primo “TRATTAMENTO DEL GIORNO”: avevo il permesso di togliere le Nike e lasciar sprofondare il mio naso nei sui calzini bianchi assaporandone la fragranza di sudore per tutto il tempo della colazione. Quando Ron chiamava i “tre minuti” io avevo il permesso di togliere velocemente i suoi calzini e spendere quel poco tempo leccando il sudore deliziosamente salato dai suoi piedi stanchi dopo l'allenamento.
“Ho bisogno che il
mio piccolo schiavo mi porti in bagno!”. Ancora una volta mi
saltava in groppa e aspettava che lo portassi in bagno e che,
ovviamente, lo lavassi dalla testa ai piedi. Ron aveva preso
l’abitudine di cavalcarmi dozzine di volte al giorno. Dopo la
doccia camminava ancora una volta sopra di me per raggiungere il
letto, dove poteva distendersi e rilassarsi mentre io pensavo al
deodorante, alle lozioni, al profumo.
Dopo averlo completamente vestito, si sedeva sulla poltrona da barbiere che mi aveva fatto comprare, pagandola carissima e leggeva il giornale mentre io mi occupavo di pettinargli i capelli. Dopodiché mi inginocchiavo per lucidargli le scarpe. Ai suoi “DUE MINUTI” io, ancora completamente nudo, avevo centoventi miseri secondi per vestirmi ed essere a quattro zampe per portarlo alla porta di casa, aprirla, farlo scendere dalla mia schiena e poi precederlo per aprire per lui lo sportello della macchina, dal lato del passeggero. Allacciavo la sua cintura di sicurezza e lo portavo al lavoro.
Lavorava in un elegante
grande magazzino come responsabile delle vendite nel settore dei
profumi e faceva davvero molti soldi. E questo, insieme allo sconto
dipendenti sulla merce del negozio, gli permetteva di vestire sempre
come un modello. Durante il primo turno di lavoro di Ron, io correvo
a casa per fare il letto, pulire il bagno, i piatti della colazione e
per preparare il pranzo. Appena finito tornavo al negozio e
lì lo aspettavo, in piedi e con lo sportello della macchina aperto,
fino a che usciva. Una volta a casa, mi gettavo a terra dopo avergli
aperto la porta, così che lui potesse pulirsi le scarpe sul dorso
della mia camicia.
Si
sedeva sulla sua poltrona preferita ed io ero subito pancia a terra,
talmente tanta era l'impazienza di adorare le sue scarpe, baciare le
sue caviglie. “Mi sei mancato così tanto, Padrone. Odio quando non
ci sei. Grazie, mille volte grazie per esser tornato per pranzo e per
il privilegio di lasciarmi strisicare ai tuoi piedi perfetti. Tu sei
il mio mondo, Padrone.”, “LECCA!”, rispondeva, distratto. “Vuoi
quello che c'è dentro le mie scarpe? Allora te lo devi meritare!
Lecca via con la lingua tutta la sporcizia che ho raccolto per strada
e dimostrami quanto adori essere il mio leccapiedi.” E io, che già
avevo iniziato a leccare, leccavo ancora più avidamente. “Ora puoi
cominciare a sfilarmi una scarpa alla volta, lentamente – diceva
Ron – baciando ogni millimetro di calzino che esce!”, “Sì,
Signore! Grazie Signore – rispondevo io completamente in estasi –
Grazie, grazie, grazie!” Quel paradiso durava almeno mezzora. Poi
gli portavo il pranzo su un vassoio, glielo sistemavo in modo che
fosse comodo, accendevo la televisione e assumevo la posizione del
tavolino, offrendo al mio Padrone un piano comodo su cui appoggiare i
suoi piedi.
Mentre
mangiava, generalmente giocherellava col mio naso per massaggiare le
piante dei suoi piedi, mentre io non riuscivo a smettere di coprire
di baci tutto ciò che mi capitava a portata di bocca.
Finito il
pranzo, lo riportavo al lavoro e tornavo di corsa a casa per svolgere
il mio di lavoro. Ron mi aveva obbligato ad accettare un lavoro che
potessi svolgere da casa, online, e così ero diventato consulente
per una piccola casa editrice.
Circa tre settimane
dopo, la routine già funzionava alla perfezione. Rispettavo i tempi
in modo così naturale da riuscire a godere di ogni singolo attimo
della presenza di Ron.
Quel
giorno, come gli altri precedenti, aspettai il momento giusto per
rimettere le scarpe al mio Padrone in modo che potessi
riaccompagnarlo in ufficio per il turno del pomeriggio. Lui invece si
tolse di nuovo le scarpe, me le fece cadere dalle mani con un calcio,
e con un altro calcio diritto nel mio stomaco...”Ti ho detto di
rimettermi le scarpe?”, mi gridò in faccia. “No, Signore –
balbettai – ma...”, “Sì o no, idiota? Ti ho detto di
rimettermi le scarpe?”, “No, Signore”, risposi io abbassando la
testa. “Allora rimetti quella tua stupida faccia sul pavimento,
perché è dove deve stare!”, “Sì, Signore, scusami”, mi
limitai a dire.
Appoggiai di nuovo il
visto a terra, vicino ai piedi del mio Padrone. Lui alzò il destro
e, con violenza, prese a schiacciarmi come se volesse farmi uscire
gli occhi dal cranio! Così immobilizzato, ascoltai quanto di più
inatteso, scioccante, umiliante avessi mai pensato di sentir dire a
Ron. Con voce calma mi informò, “Io non ho intenzione di tornare
al lavoro! Da un po' controllo il tuo conto, vedo quanto guadagni e
non c'è alcun motivo che io sprechi il mio tempo a lavorare!”, una
pausa, poi continuò, “Fai abbastanza soldi per mantenere entrambi,
e poi se smetti di comprare inutili cose per te e smetti di fare
investimenti senza senso, potrai comprarmi tutto ciò che mi serve o
che desidero!”. Cominciai a manifestare, sempre rispettosamente, il
mio disappunto ma Ron, senza alterarsi, senza cambiare tono di voce
mi fermò. “Lasciami finire! Se non accetti io tornerò al lavoro e
ci dimenticheremo per sempre di questa conversazione, ma lasciami
finire!”, “Va bene – acconsentii – ma già ti dico che questa
proposta non mi pare accettabile...”, “Shhh! Lasciami finire –
continuò – Tu sei ancora il mio leccapiedi, lo schiavo che mi
adora e mi venera, no?”, “Sì, Signore, lo sono!”, non potei
che ammettere! “Prendi ancora ordini da me e fai tutto quello che
ti dico di fare, giusto?”, le cose non si mettevano bene!
“Sì, Padrone, adoro
fare quello che dici”...In quel momento si alzò, senza dire
niente. Con un piede tirò su il mio mento per farmi mettere in
ginocchio di fronte a lui. Così feci, senza protestare. Si abbassò
leggermente, allungando una mano verso il mio uccello. Afferrò le
mie palle e strinse quel tanto per farmi sentire completamente in suo
potere. Mi guardava diritto negli occhi. Io non riuscivo a reggere il
suo sguardo. “A chi appartieni?”, disse dopo un silenzio che mi
sembrò interminabile. Sentii la mia voce rispondere, senza esitare,
“Appartengo a te, Padrone, a te soltanto!”.
“Ti
piace questa sensazione?”, mi chiese,
mentre continuava a giocare con le mie palle. “Sì, Signore,
moltissimo”, “Chi può permettersi di farlo?”, “Solo tu,
nessun altro, a meno che non sia tu a dirlo, Padrone”, ero
completamente in suo potere! “Bene, e non ti piacerebbe che io
avessi più tempo per tenerti per le palle, come sto facendo ora?”,
mi chiese sorridendo sadicamente. “Sì, Signore, mi piacerebbe
molto!”, “Allora stai tranquillo e guardami negli occhi –
cominciò – Mi piace il fatto che tu sia mio! Mi piace vederti
strisciare ai miei piedi. Ma ho bisogno di qualcuno che voglia
dedicarsi completamente a me, per assicurarmi tutta la comodità e i
vizi che mi spettano, di cui ho diritto. Al di là di quello che io
possa provare per te e delle tue necessità, io ti rivendico come mia
proprietà personale! Ho fatto di te il MIO leccapiedi. È un onore!
Altri schiavi implorerebbero, implorano anzi, per diventarlo. Io ho
concesso a te questo privilegio e ora tu mi devi dimostrare la tua
gratitudine riconoscendomi come tuo unico Re! E un Re non si alza
ogni mattina per andare a lavorare.” Mentre parlava mi slacciava la
cerniera dei pantaloni e infilava la sua mano nelle mie mutande,
sfiorando il mio cazzo duro come una roccia. Non staccava i suoi
occhi azzurri, ipnotici, dai miei. Io mi sarei buttato dalla finestra
in quell'esatto momento, se solo me lo avesse chiesto. Fortunatamente
per me si limitò a dire, “Togliti i pantaloni e sdraiati per
terra, nella tua posizione naturale!”, ed io lo feci, senza
fiatare.
Mi
sdraiai pancia all'aria davanti a lui. Ron si rimise a sedere sulla
poltrona. Poggiò un piede sulla mia faccia, l'altro sul mio uccello
che, libero dai boxer, tirava verso l'alto come mai prima di allora.
La mia mente era totalmente aperta alle sue parole, alla sua voce,
era una spugna che assorbiva le frasi del mio Padrone come una serie
infinita di verità assolute. Mi spiegò che il mio livello di
devozione meritava molto di più che un Padrone part-time. Che la mia
profonda passione per i piedi doveva essere
sfruttata ventiquattrore al giorno, tutti i giorni della settimana e
che non potevo offrire la mia vita ad un semplice commesso in un
centro commerciale, come era lui in quel momento. Io meritavo di
servire un vero Principe, diceva, qualcuno di così nobile e speciale
che non dovesse sporcarsi le mani per lavorare. Qualcuno il cui unico
interesse nella vita fosse quello di essere servito e viziato. Questo
mi spiegava continuando a strusciare i suoi piedi sul mio pisello,
sul mio torace, sulla mia faccia. Poi aggiunse, “So che non lo dico
spesso, ma io ti amo davvero, mio piccolo leccapiedi. Ti amo così
tanto che voglio essere sempre presente per te, per darti la gioia di
servirmi tutto il tempo. Tu non meriti di essere uno schiavo ad
intermittenza. Non dovresti essere messo nella condizione di stare
male perché io non ci sono. Mi consentirai di dimostrarti tutto il
mio amore, tu che sei l'oggetto più prezioso che posseggo, facendoti
dono della mia costante presenza?”.
Fece
una pausa lunga, gustando fino in fondo tutto il suo potere su di me.
Poi con entrambi i piedi cominciò a farmi una sega. Lo faceva con
cura, attenzione pur non rinunciando alla confidenza di chi sa di
essere un Padrone assoluto. “Questo può accadere ogni giorno –
disse finalmente – Se tu mi avrai per casa tutto il giorno, potrai
servirmi tutto il giorno e meritare questo enorme privilegio tutti i
giorni, per sempre.” Continuava a massaggiare il mio pisello ed io
mi sforzavo di trovare la concentrazione per non venire, non avendone
avuto il permesso. Dopo
avermi portato sul punto di esplodere, proprio quando sentivo che la
mia sborra si preparava ad eruttare con tale violenza che ero sicuro
avrei raggiunto il soffitto, tolse i suoi piedi dal mio uccello e
disse, “Bene, non c'è più tempo. Devo tornare al lavoro. La
decisione è tutta tua. Non devi dire niente. Puoi rimettermi le
scarpe e portarmi al lavoro oppure appoggiare di nuovi i miei piedi
sul tuo cazzetto che non desidera altro, così io potrò finire
quello che ho iniziato e tu potrai accettare la completa, totale,
ininterrotta servitù e l'incredibile ricompensa che ne deriverebbe.”
Trenta secondi di un
silenzio denso rotto soltanto dal battito del mio cuore che pareva
volesse uscirmi dal petto. Ed in silenzio rimasi anche mentre con le
mani un po' tremanti cercai i piedi di Ron per riportarli suo mio
cazzo, che sgocciolava di piacere. “Io vivo per servirti, Padrone,
ventiquattro ore al giorno!”, dissi con un filo di voce. Lui
massaggiò appena il mio pisello e poi tolse di nuovo i suoi piedi.
“Ti rendi conto che non potrai mai uscire di casa?”, mi chiese
con tono grave. “Sì, Signore!”, risposi io senza un attimo di
esitazione. Di nuovo i suoi piedi sul mio uccello. Ogni volta sentivo
il potere di quei piedi, il loro peso, la loro forza e ogni volta di
più mi sorprendevo di quanto volessi vivere per servirli. Due altre
carezze vigorose e ancora una volta Ron li ritrasse. “Ti rendi
conto che io dovrò avere pieno controllo e accesso ai tuoi conti?”,
“Sì, Signore – risposi – è giusto che sia così.”
Riavvicinò i suoi piedi al mio cazzo ma si fermò di nuovo. Prima
che potesse parlare però, li afferrai, li strinsi intorno al mio
pisello e cominciai a scoparmeli furiosamente, gridando, “Sì,
Padrone, sì, capisco tutto. Sì, tutto, Signore. Mi impegno a
soddisfare ogni tuo bisogno. Io ho bisogno di avere i tuoi piedi in
faccia e sul pacco, Signore, sempre, sempre, ogni momento. Farò
qualsiasi cosa per te. Vivrò ai tuoi piedi ventiquattro ore al
giorno. Ogni centesimo che guadagnerò lo consegnerò a te, con
devozione, con gioia, affinché tu possa usarlo in qualsiasi modo tu
voglia. La mia casa è tua. I miei soldi sono tuoi. Le mia labbra, il
mio uccello, la mia mente sono TUOI, da piegare al tuo volere finché
godrò del dono di avere i tuoi piedi su di me. Io esisto per
eseguire i tuoi ordini, Padrone. Io ti adoro, ti venero come un Dio.
Padrone, io sono di tua proprietà!” In quel momento il mio uccello
sputò tanto di quel seme che non avrei mai immaginato di poterne
avere così tanto nelle palle. Dieci lunghi, interminabili fiotti di
sperma raggiunsero il mio torace, il mio viso, le scarpe di Ron che
tenevo vicino alla faccia. Prima che iniziassi a riprendermi, a
realizzare dove fossi, un piede del mio Padrone mi si piantò sul
naso e sulla bocca. Io facevo addirittura fatica a respirare. Mi
dimenavo, mugolavo, implorando di poter prendere aria. Ma il mio
Padrone mi guardava dall'alto senza lasciarsi impietosire. Alla fine
disse, solenne, “Tu appartieni a me, cos'hai da dire ora?”, e io
mi affrettai a borbottare attraverso la pianta perfetta e virile che
mi schiacciava a terra, “Grazie, Padrone. Ti amo, Padrone.”, lui
disse, “Bene, non affronteremo mai più il discorso sul mio lavoro.
Da questo momento io sono il tuo Re. Ora mettiti in ginocchio. Ti
mostrerò il rito di adorazione del pomeriggio.”, “Sì,
Signore!”, fu l'unica cosa che riuscii a dire.
La
mia vita non fu più la stessa da quel giorno. Ron inventò sempre
nuovi modi per sfruttare la mia devozione. Non c'era limite alla sua
creatività, alla sua immaginazione. E più umilianti e perversi
erano le dimostrazioni di sudditanza che pretendeva da me, più io mi
sentivo drogato dalla sua mente, dal potere che io stesso gli avevo
concesso e che ora lui usava come se gli spettasse per diritto
naturale. Erano tutt'altro che fantasie sessuali. Niente a che vedere
con i giochi di ruolo. Io persi la mia
identità e diventai lo schiavo che lui voleva che fossi, mi aveva
plasmato secondo i suoi desideri e ancora continuava ad addestrami.
Non venne mai meno alle mie necessità. Al contrario, usava il mio
inesauribile bisogno di adorare i suoi piedi come strumento per
educarmi ad essere un servo migliore.
Dopo sei mesi mi resi
conto che non non c'era più nessuno nella mia testa. Nessuno, tutti
spariti, a parte Ron. Anche lavorando al computer per guadagnare di
che vivere per me e soprattutto per lui, mentre lui dormiva o si
allenava o mi guardava sbracato sul divano, anche in quei momenti io
avevo la consapevolezza di LAVORARE PER LA GLORIA DI RON. Diventai il
suo schiavo leccapiedi a tempo pieno, il suo maggiordomo, il suo
cuoco, il suo cameriere, il suo cane, il suo asciugamano, il suo
barbiere, il suo valletto, zerbino, poggiapiedi e tutto ciò che
voleva farmi essere.
A fine
anno avevo perso completamente la capacità di discutere.
Accettavo
ogni suo ordine, ogni sua richiesta, anche insensata,
incomprensibile, senza pormi il problema di valutare. D'altra parte
non era compito mio valutare le richieste del Padrone. Il mio compito
era fare, eseguire, in fretta e con la massima attenzione, in modo
che il mio Signore fosse sempre completamente soddisfatto. Lui
controllava la mia vita in ogni suo aspetto. La controllava
attraverso i suoi piedi, ed io mi sentivo
in paradiso.
Oggi festeggio i dieci
anni dal giorno in cui decisi di mettere la mia esistenza nelle sue
mani. Dieci lunghi anni passati in un secondo e oggi sono lo schiavo,
il servo, il leccapiedi, il cane, l'uomo più felice del mondo!!
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2 commenti:
wow
ci sarà un seguito?
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