mercoledì 17 febbraio 2010

FEET IN TRANSLATION - Il mio nuovo vicino - quinta parte

per la rubrica


dopo aver ammesso di voler essere lo schiavo di Paul
dopo aver accettato di cambiare look per volere del suo padrone
dopo aver iniziato a "rendersi utile"
il servo si appresta al debutto in società.
ma prima
passando qualche ora in compagnia di Joe,
capirà che
la mela
non cade mai lontano dall'albero!


Il mio nuovo vicino

quinta parte


Solo un'ora dopo vidi Paul e sua moglie andare via. Andai subito nel seminterrato, per aiutare Joe. Bussai alla porta del garage ma nessuno rispose, così entrai. Raggiunsi il seminterrato.
“Joe, sei lì dentro?”
“Sì”, rispose, “Che vuoi?”
“Tuo padre mi ha detto di darti una mano a sistemare”.
“Beh”, disse in tono quasi scocciato, “Allora muovi il culo e scendi giù!”
Joe se ne stava seduto in poltrona, con i piedi appoggiati sul tavolino. Guardava una partita di baseball in televisione. Appena entrai nel seminterrato mi venne incontro e mi portò nella parte ancora tutta da sistemare.
“Tutte queste scatole devono essere sistemate, una sopra all'altra. Laggiù!”, disse indicandomi il luogo esatto. “E papà vuole che sia tutto a posto per stasera, quindi ti conviene darti una mossa!”, continuò mentre tornava alla sua partita.
Anche se Joe aveva solo diciassette anni e frequentava il liceo, era chiaramente un uomo, e non un ragazzo. Somigliava molto a suo padre. Alto un metro e novanta, muscoloso, spalle larghe e torace possente. Era un campione nella squadra di baseball della sua scuola e presto lo sarebbe stato anche della squadra di calcio e di wrestling. E poi era bello e questo gli rendeva molto facile incontrare i favori di tutte le cheerleader che gli giravano intorno. Aveva già sviluppato una personalità dominante e mi trattava con il disprezzo che meritavo. Io, invece, avevo per lui rispetto e ammirazione!
Iniziai a darmi da fare con le scatole e, dopo un'ora, sentii il bisogno di fare una pausa.
“Vado su a prendermi qualcosa da bere”, dissi, “Tu vuoi qualcosa?”
“Acqua!”, rispose Joe, secco.
Gli portai una bottiglietta d'acqua. La prese quasi senza badare a me, senza dire una parola, proprio come se fossi il suo servo.
Ripresi a lavorare. Le scatole erano più o meno tutte dello stesso peso tranne due, che non riuscii a sollevare da solo. “Mi daresti una mano con queste?”, urlai a Joe.
Dopo qualche minuto si degnò di venire.
“Che c'è?”, mi chiese.
Io indicai le scatole che non riuscivo a muovere. Lui afferrò la prima, senza alcuno sforzo, e la sistemò nello scaffale. Fece lo stesso con la seconda.
“Sei debole come una femminuccia!”, disse disgustato. La sua superiorità mi metteva in soggezione. Non riuscii a controbattere. Abbassai solo gli occhi ed incassai il colpo.
Circa un'ora dopo, il mio lavoro era finito. Senza che mi venisse chiesto, spazzai il pavimento e feci per andarmene, salutando Joe. Lui invece mi fermò: “I miei piedi mi fanno male. Fammi un massaggio!”. L'eventualità che potessi rifiutarmi era fuori questione. Io ne ero consapevole e Joe lo era ancora più di me! Mi inginocchiai ai suoi piedi. Aveva delle vecchie nike silver, distrutte a forza di essere usate. In effetti da quando conoscevo quel ragazzo, avevo visto ai suoi piedi solo quelle sneakers. Gli tolsi le scarpe e i calzini. I suoi piedi erano grandi, la pianta era larga, si vedeva che Joe non passava gran parte del suo tempo a curarli, ma, nonostante questo erano morbidi, con una leggera peluria sul dorso e sulle dita. Presi un piede fra le mani e cominciai a massaggiarlo. Era caldo, leggermente sudato. Joe mise l'altro piede sul mio naso, facendomi annusare il suo odore maschile e penetrante. Poi lo strofinò sulle mie labbra. “Bacialo!”, mi ordinò. Io, umilmente, baciai la pianta del suo piede. Tirò su l'altro piede e mi fece baciare anche quello. Mi guardava fisso, negli occhi, con una naturalezza inaspettata come se fosse abituato a vedere altri uomini umiliarsi di fronte a lui senza opporre resistenza. Con altrettanta naturalezza poi, tornò a seguire la sua partita di baseball, lasciandomi lì per terra, in ginocchio. Quanto a me, non avrei voluto stare da nessun altra parte. Avrei voluto cominciare a baciare ogni centimetro dei suoi piedi. Mentre passavo le mie mani sul dorso e sulla pianta, i miei occhi non riuscivano a staccarsi da quella che per me era la perfezione. Desideravo dimostrare a Joe quanto mi sentissi inferiore a lui; morivo dalla voglia di sottomettermi a quel ragazzo di diciassette anni leccando umilmente fra le dita dei suoi piedi. Invece mi limitai a fare quello che mi era stato ordinato, annullandomi di fronte a lui. Continuai a massaggiare i suoi piedi per una mezzora, fino a che Joe non mi disse di andarmene.
Tornato a casa, sentivo ancora sulle mie mani il calore dei piedi Joe. Senza neanche pensarci cominciai ad annusarle. Chiudendo gli occhi mi sembrava di essere ancora lì, nel seminterrato. L'odore era inebriante, decisamente maschile ma dolce, appena appena pungente. Sentivo il mio pisello gonfiarsi nei pantaloni. Mi affrettai a spogliarmi, quasi dimenticavo della regola! Nudo come un verme mi inginocchiai e continuai ad annusare le mie mani, arrivai anche a leccarle, assaporando il gusto salato del sudore di quei piedi fantastici. Se Joe mi avesse visto in quel momento, chissà quanto si sarebbe divertito ad umiliarmi. Non avevo neanche sfiorato il mio cazzo e già lo sentivo pronto ad esplodere, ma non avevo il permesso di venire. Se fossi venuto senza l'autorizzazione del mio padrone, avrei dovuto confessarglielo e sottostare alla sua punizione. Cercai di distrarmi. Presi il mio dildo e continuai a far pratica. Avevo tutta l'intenzione di diventare il più bravo succhiacazzi che il mio padrone avesse mai avuto.

La mattina dopo mi svegliai con un senso di inquietudine per la giornata che stavo per vivere. Era il mio primo giorno in ufficio col mio nuovo look e, come immaginavo, fu un giorno molto lungo! Tutti sentivano il bisogno di commentare i miei capelli così corti e la mia “collana” così stretta. Tutti volevano sapere cos'era successo. Io mi limitai a dire che mi era venuta voglia di provare qualcosa di nuovo. Un paio di miei colleghi gay invece fiutarono che il mio non era solo un cambiamento di stile e mi fecero domande più dirette. Evidentemente avevano capito ma non insistettero di fronte alla mia intenzione evidente di non confidarmi con loro.
Scherzi e battute continuarono per tutto il giorno. L'attenzione morbosa nei miei confronti mi infastidiva ma mi bastava ricordare il motivo di quel drastico cambio di look, mi bastava richiamare alla mente l'immagine del mio padrone, così superiore a tutti i miei colleghi messi insieme, che subito ogni presa in giro perdeva di significato.
Non vidi il mio padrone, quella sera. Linda aveva di nuovo il giorno libero e probabilmente Paul era impegnato con lei. Se era con lei, io non gli servivo e questo, nonostante fosse più che comprensibile, mi disturbava parecchio.
Me ne andai a dormire. Il giorno dopo avrei avuto la mia prima lezione in palestra, meglio essere riposati.

Alle sette ero già pronto. In palestra non c'era molta gente. Quando scesi in sala, Clayton mi stava aspettando. Sembrava un tipo sui trent'anni, sul metro e ottanta. Aveva un fisico da nuotatore, solo appena più muscoloso. La sua maglietta aderente disegnava i muscoli del torace, definiti e sodi. Era il tipico istruttore di palestra, bello, atletico e sicuro di sé. Mi presentai. Lui guardò il suo orologio: “Sono le 7:05. La tua lezione comincia alle 7:00. Non farmi mai più aspettare!”. Il suo tono severo mi sorprese.
“Scusami”, risposi timidamente, “Non succederà più.”
Senza dire niente mi portò in una saletta. Poi cominciò: “Normalmente chiedo a chi inizia ad allenarsi con me quali sono i suoi obiettivi, ma dal momento che tu appartieni a Paul, lui ed io abbiamo deciso ciò che ti serve.”
Io ero impietrito! Non avevo idea che Paul avesse confidato a Clayton che io ero il suo schiavo. Ma sembrava che per Clayton questa fosse la cosa più naturale del mondo!
“Visto che oggi è il tuo primo giorno, inizieremo con un allenamento leggero”, disse. “La prima cosa che dobbiamo accertare è per quanto tempo riesci a trattenere il fiato”. Mise un cronometro sopra il tavolo e diede il via. Cercai di resistere il più a lungo possibile.
“Sessantatre secondi, non benissimo”, disse Clayton. “Quando avrai il cazzo di Paul in fondo alla gola non potrai respirare. Non puoi andare in debito di ossigeno dopo soltanto un minuto. Questo intaccherebbe il piacere del tuo padrone. È inaccettabile. C'è gente che riesce a trattenere il respiro anche per otto minuti. Dobbiamo arrivare almeno a quattro”. Quattro minuti? Non potevo immaginare di trattenere il respiro per così tanto tempo. Clayton intanto stava cercando qualcosa in una specie di archivio.
“Tieni”, mi disse, “questo è un articolo che di solito diamo ai nuotatori. Leggilo e fai pratica ogni giorno”.
“Ok, ci provo”, dissi, prendendo il foglio.
“Valuterò i tuoi progressi. Devi migliorare di quindici secondi a settimana”, disse Clayton. Quindici secondi a settimana voleva dire due secondi al giorno. All'inizio sarebbe stato facile, ma avevo seri dubbi sul lungo periodo!
“Cominciamo l'allenamento!”
Clayton mi fece fare il più faticoso allenamento che avessi mai provato. Mi faceva correre da un attrezzo all'altro. Le due ore sembrarono due giorni, non finivano mai. Finalmente arrivarono le nove. Arrancai fino agli spogliatoi. Non avevo idea di come poter arrivare a fine giornata, l'unica cosa di cui avevo voglia era starmene seduto lì, con la testa fra le mani.
“Alza il tuo culo dal mio posto, idiota!”
Con mia enorme sorpresa, una montagna di muscoli avanzava verso di me. Io saltai in piedi e indietreggiai. Inavvertitamente mi ero seduto di fronte al suo armadietto e il gigante doveva averla presa come una mancanza di rispetto. Credo che sapesse il significato del collare che portavo. Spostai le mie cose qualche metro più in là. Iniziai a svestirmi per entrare in doccia ma, sfortunatamente, lui stava facendo lo stesso. Ero a disagio. Stare nudo vicino a lui metteva in risalto tutte le nostre differenze! Io sembravo debole e piccolo, con un cazzetto da bambino. Lui era massiccio, con muscoli duri come rocce e un grosso cannolo di carne che gli scendeva fra le gambe. Mi guardò dall'alto in basso, considerando quanto fossi patetico, e si mise a ridere, voltandomi le spalle ed avviandosi verso le docce.
Le docce non erano separate. C'era una specie di stanza con sette bocchettoni. Con gli occhi fissi al muro feci la doccia più veloce della mia vita! Stavo chiudendo l'acqua quando mi accorsi che qualcosa continuava a bagnare le mie gambe. Il gigante mi stava pisciando addosso! Stavo per protestare quando mi tornò in mente ciò che il mio padrone mi aveva ordinato. I maschi superiori hanno tutto il diritto di divertirsi con gli esseri inferiori. Così, anziché protestare, mi inginocchiai e abbassai la testa. Lui andò avanti, pisciandomi su tutto il corpo, testa compresa. Poi alzò un piede e me lo schiacciò in faccia. “Lecca!”, ordinò. Docilmente leccai via il piscio dal suo piede, mentre il gigante sogghignava. Poi mi diede una spinta facendomi perdere l'equilibrio. Finii col sedere per terra, mentre lui già tornava alla sua doccia. Mi alzai a fatica, scosso dalla stanchezza e dall'umiliazione, e ripresi a lavarmi.

In ufficio le cose andarono meglio che il giorno precedente ad eccezione del fatto che non riuscivo neanche a reggere in mano una penna, per quanto Clayton mi avesse spompato. In più, non mi segavo da giorni ormai e diventava difficile nascondere la mia erezione perenne non portando più mutande. Saltai la pausa pranzo così, già verso le quattro timbrai il cartellino di uscita.
Tornare a casa era una benedizione. Mi spogliai immediatamente e mi tuffai sul divano. Non vedevo il mio padrone da due giorni. Speravo che più avanti nella serata avrebbe trovato il tempo e la voglia di usare il suo schiavo.
Non riuscii a tenere a bada l'euforia quando vidi Paul entrare dalla porta, subito dopo cena.
“Succhiami il cazzo, schiavo!”, mi ordinò subito dopo averlo salutato baciando i suoi piedi e tornando nella mia posizione di attesa. Non vedevo l'ora. Avere il suo magnifico pisello nella mia bocca era l'esperienza più gratificante che potevo immaginare. E poi ero ansioso di provare qualcuna delle tecniche che stavo studiando. Velocemente aiutai Paul a togliersi i pantaloni e gli slip. Baciai il suo pisello in segno di rispetto, poi lo presi in bocca e chiusi dolcemente la mie labbra intorno all'asta. Cominciai a muovere la mia testa in senso circolare. Alternavo il senso orario e il senso antiorario, lasciando che il suo pisello si muovesse dentro la mia bocca. A giudicare dai mugolii del mio padrone, avevo l'impressione di fare bene. Non ci volle molto infatti prima di ottenere la mia ricompensa. La mia bocca si riempii della sua sborra abbondante, che io inghiottii con avidità.
“È stato fantastico, bravo il mio servo!”. Sembrava davvero entusiasta. E il fatto che lo fosse mi faceva sentire in paradiso! “Impari in fretta. Ti meriti un premio”, disse mentre raccoglieva i suoi slip e me li appoggiava in testa! “Annusali stanotte, mentre ti fai una sega.”
“Grazie, Signore”. Ero eccitato. Non speravo in una ricompensa del genere.
“Com'è andata oggi con Clay?”, mi chiese.
“Mi ha fatto sgobbare come un cane, Signore”, cominciai. “All'inizio era un po' arrabbiato per il mio ritardo. Eppure erano solo cinque minuti, non capisco quale fosse il problema. Comunque è stato l'allenamento più duro che abbia mai fatto. Domani sarò a pezzi, di sicuro.”
Non capivo perché Paul mi guardasse così male. “Clay è un mio amico. Sa che tu sei di mia proprietà e quando gli manchi di rispetto, arrivando in ritardo, questo si riflette su di me. Puoi pure dimenticarti del regalo che ti ho fatto prima, niente sega fino a domani.”
Ero affranto.
“Prendimi una cinta”, mi ordinò. Oh cazzo, stava per frustarmi. Con mani tremolanti gli passai la cinta che indossavo al lavoro. Tornai in ginocchio, in posizione di attesa.
“Mettiti a quattro zampe, col sedere in alto”, disse senza un minimo di compassione. “Quando avrò finito dovrai ringraziarmi per averti insegnato una lezione importante”.
Mi misi in posizione, cercando di prepararmi a quello che stavo per provare. Dopo qualche secondo sentii la cinta fischiare tagliando l'aria e il più intenso dolore che avessi mai provato arrivò dritto al mio cervello. Era come se il mio sedere andasse a fuoco. Le braccia vigorose di Paul mi infiggevano un dolore spaventoso. Un'altra frustata. Il dolore era lancinante. Poi un'altra e ancora due.
“Così dovrebbe andare”, disse il mio padrone con voce calma. “Una cinghiata per ogni minuto di ritardo.”
Mi abbandonai disteso per terra. Non piangevo ma i miei occhi erano pieni di lacrime. Cercai di reagire il prima possibile e strisciai verso Paul. Arrivai di fronte a lui, lo ringraziai per avermi insegnato una lezione importante, poi leccai i suoi piedi per manifestargli tutta la mia sottomissione. Strisciare e sbavare ai suoi piedi mi faceva sentire nel posto giusto al momento giusto.
“Rimettiti in ginocchio, servo, devo pisciare!”, disse Paul.
Quando i miei glutei si appoggiarono sul mio sedere fu come se ricevessi un'altra cinghiata. Sforzandomi di non pensare al dolore, aprii docilmente la bocca e mi prestai ad una delle mie funzioni di schiavo. Essere il pisciatoio del mio padrone faceva di me un utile servo.
Come quando due maschi si trovano in un bagno pubblico ed iniziano a parlare del più e del meno, così fece Paul con me, con la differenza che io non avrei potuto rispondere! Cominciò a parlare e a pisciare insieme.
“Una cinta non è l'attrezzo appropriato per quel genere di punizioni, non sei d'accordo, verme?”, io cercavo di manifestare il mio consenso attraverso lo sguardo! “Perché non proviamo a cercare qualcosa di più adatto su internet?”. Dopo aver onorato il cazzo del mio padrone, pulendolo e baciandolo come meritava, iniziammo a cercare l'oggetto che più andasse bene per una giusta punizione. Alla fine Paul si decise per una frusta di gomma a dieci code e un paddle di legno lungo sessanta centimetri. Trovavo inquietante dover pagare per comprare qualcosa che mi avrebbe procurato dolore. Ma tant'era. Un servo deve umiliarsi anche così.
Paul se ne andò subito dopo. Il sedere mi faceva malissimo. Mi guardai allo specchio. Era rosso fuoco con segni più chiari in rilievo. Ci passai sopra un po' di crema sperando in un rapido sollievo. Di sicuro ero contento di non aver fatto quindici minuti di ritardo quella mattina.
Il giovedì passò senza intoppi, anche se ogni muscolo del mio corpo mi ricordava della sua esistenza, e dell'esistenza di Clayton! Paul non venne da me quella sera. Andai io ad aiutarlo in garage, ma non ci fu molto tempo per stare con lui perché quasi subito mi spedì di sopra a pulire la cucina.
Venerdì mattina ero di nuovo alle prese con Clayton. Grazie all'insegnamento di due giorni prima, ero pronto già alle sei e mezza! Con mio dispiacere mi resi conto ben presto che Clayton era stato di parola la volta scorsa. C'era andato piano per davvero durante il primo allenamento. Il secondo infatti fu dieci volte più faticoso e lui fu cento volte più inflessibile.
Più tardi, la stessa mattina, ero in ufficio, in riunione. Si trattava di una discussione abbastanza accesa su quale fosse la migliore strategia da adottare in merito a noiosi reporting finanziari. I toni, come al solito, erano molto animati. In particolare il mio punto di vista era in aperto contrasto con quello di un mio collega, Richard. Il confronto non durò meno di un'ora. Io fui oggettivamente più convincente ma la riunione fu chiusa senza una decisione definitiva. D'altra parte il mio capo era tutt'altro che una persona risoluta.
Poco dopo esser tornato nel mio ufficio, Richard entrò senza bussare, chiuse la porta alle sue spalle e si mise seduto di fronte a me. Era un bell'uomo, magro, con un bel fisico tenuto. Aveva più o meno la mia età. Era molto carismatico, sapeva come catalizzare l'attenzione di chi gli stava intorno. Era il tipo d'uomo che riconoscevo come dominante.
“Non pensare che non sappia per quale motivo porti quel collare”, iniziò, senza fronzoli. “Sei diventato il leccapiedi di qualche maschio, non è così?”
“Vattene, Richard. Devo lavorare”, cercai di tagliare corto, simulando disgusto.
Lui, per tutta risposta, mi afferrò per la giacca e mi tirò su dalla mia poltrona. Poi mi costrinse in ginocchio. “Rispondimi!”, ordinò.
“Sì, sì, è così”, ammisi con voce spaventata.
“L'ho capito dal primo istante in cui sei entrato in ufficio conciato così. Stai bene a sentire, inutile frocetto, non ti azzardare mai più a contraddirmi in pubblico!”
“Ok, d'accordo, Richard, non succederà più!”
Richard mi afferrò per la testa, mi schiacciò la faccia contro il suo pacco, poi si girò e se ne andò, lasciando la porta aperta. Mi affrettai a rialzarmi. Tornato al mio posto, ripresi a lavorare come se niente fosse successo, mentre, dentro di me, l'ammirazione e il rispetto nei confronti di Richard crescevano enormemente.
Quando tornai a casa, quella sera, ero distrutto. Tutta la settimana era stata terribilmente faticosa, fisicamente e mentalmente. Mi fermai un momento a riflettere. Era bastato un taglio di capelli e una collare e già sembrava che tutto il mondo sapesse della mia nuova identità. Ero stato umiliato da molti uomini ma questo, anziché abbattermi o crearmi dei dubbi, stava diventando la gratificazione più grande della mia vita. Attraverso l'umiliazione rinforzavo la mia percezione di schiavo.
Non avevo idea di quello che mi aspettasse nei giorni a venire ma a giudicare da quanto era successo fino ad allora, morivo dalla voglia di continuare!

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao!Vagando per il web ho trovato la storia che stai traducendo...carina:-)Da dove l'hai presa?Immagino che l'originale sia in inglese...